Brescia, la paura fa 40: per la salvezza servono almeno 12 punti

Bene, bravi. Ma neanche tanto. Perché in un’annata da media voto 4 nei compiti in classe, non basta una sfilza di 6 per riabilitarsi e finire promossi. Quei 6, alla fine sono niente più che «seini». Che è purtroppo il valore da attribuire, in soldoni, a un Brescia che ha cambiato atteggiamento e contenuti, ma non trend. Per brillare, bisogna prima bruciare: ma qui il rischio è solo quello di finire cotti e mangiati. Autodivorati in un tunnel pieno di recriminazioni e rimpianti. Tra ciò che doveva essere e non è stato, tra ciò che sarebbe ancora potuto essere - con un mercato di gennaio all’altezza e con una presa di coscienza per tempo di ciò che era evidente all’esterno, ma su cui all’interno si è chiuso un occhio, ovvero la grave spaccatura interna che si era creata sotto Clotet - ma non è stato. E adesso siamo tre punti, consecutivi, ma non a capo di un campionato sempre più infestato di fantasmi. Che hanno la forma di piccoli topolini partoriti a fronte, per contro, di una mole produttiva importante come mai fin qui.
E se è alla nuova sostanza del Brescia, alla forza e alla voglia di non farsi travolgere dal destino che Bisoli e compagni dimostrano di avere, che si resta aggrappati, ora è necessario salire anche sul treno che conduce alla via della speranza e in un campo di quadrifogli: perché il compito che attende le rondinelle adesso è molto più di un’impresa. Occorre metterci del proprio, ma tantissimo del proprio, ma anche auspicare che qualche gufata condita da botte di fortuna, vada a buon fine. Non cambia a freddo il pensiero-domanda di sottofondo post Venezia: ma se non si vince contro squadre dai valori mediocri come quella dei lagunari (e quanto pesano quei punti malamente gettati all’andata...) e anzi alla fine si rischia di capitolare pur avendo mostrato di più, allora quando? Questo spaventa dentro un quadro nel quale è troppo poco accontentarsi di aver perlomeno ritrovato i gol dei centrocampisti e pure una rete in trasferta dopo oltre 500’ di digiuno.
Il quadro
Quei maledetti ultimi metri... Abitati da attaccanti generosi e volenterosi (vedi Rodriguez e Galazzi), ma troppo tenerini e forse pure un po’ impauriti. Oppure da attaccanti-atleti come Ayé o attaccanti tecnici e veloci come Bianchi che insieme non si integrano, ma che da soli non possono funzionare: non è tutta colpa loro un digiuno da circa 3 mesi per uno. Il Brescia adesso deve andare molto oltre a se stesso. Molto oltre anche all’elenco di rimpianti e recriminazioni per il quale ci sarà sempre un tempo.
Classifica in una mano, calendario incrociato delle restanti 9 partite nell’altra, valutazione del trend di tutte le poche partecipanti alla lotta salvezza, si torna tranquillamente a ipotizzare di dover raggiunger la soglia, non più solo psicologica, dei 40 punti. Soglia peraltro minima, perché ci sono probabilità buone che possa non bastare per arrivare alla salvezza diretta (il pari di Venezia ha segato a metà le chance di centrare l’obiettivo massimo), ma che possa servire al massimo per i play out.
A ogni modo, teniamo quota 40 come «faro» da seguire perché già così basta per perdersi comunque nella paura - quella che ora attanaglia anche un Massimo Cellino apparso quasi trasfigurato a chi lo ha incrociato nel dopo gara di Venezia - di non arrivarci. Il Brescia, ha infatti fin qui vinto 6 partite, 5 delle quali nei primi sei turni. Ora occorre pensare che questa squadra riesca a centrare almeno 4 vittorie nelle restanti ultime 9 gare. Serve chiudere come si è iniziato. È una missione.
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