Calcio

Brescia Calcio, è stata imboccata la strada più difficile

Più che una sollevazione pro Inzaghi c’è stata una levata di scudi anti Lopez che ora dovrà dimostrare di non essere uno «yes man»
Massimo Cellino, presidente del Brescia Calcio (archivio) - © www.giornaledibrescia.it
Massimo Cellino, presidente del Brescia Calcio (archivio) - © www.giornaledibrescia.it
AA

L’allenatore giusto, al posto giusto. Che cosa abbia portato il Brescia a pensare che l’allenatore giusto al posto giusto possa essere Diego Lopez è un qualcosa che andrà ineludibilmente spiegato. Bene. Perché non si può pensare di poter far comprendere ciò che d’acchito non si può capire. Perché il confine tra il ridare slancio a delle ambizioni smarrite in un bicchier d’acqua a forza di avvitarsi su posizioni ormai incancrenite e dare il solito calcio al secchio del latte - specialità della casa - appare sottile.

La società si è assunta una grande responsabilità: difficile non restare colpiti. Parliamo di società: perché a differenza delle supposizioni, Francesco Marroccu non ha subìto la scelta di richiamare Lopez al Brescia e nemmeno l’ha solo avallata: l’ha proprio convintamente sostenuta. Lui che fino all’ultimo era stato strenuo difensore dell’operato di Pippo Inzaghi.

Ricostruzioni alla mano, avendo ben chiaro che quello di Cellino di cambiare guida tecnica non è stato «un colpo di testa», bensì una decisione con radici profonde viene da chiedersi se a questo punto, visto che l’epilogo era «scritto», non valesse la pena di operare già in precedenza. Perché anche la tempistica rappresenta un motivo di perplessità dentro la perplessità più grande. Quella di essere andati a ricadere proprio su Lopez. E qui apriamo una parentesi: nell’ambiente, ha destabilizzato più il nome del successore di Inzaghi che non l’esonero di Inzaghi stesso.

Più che una sollevazione pro Pippo, stiamo assistendo a una sollevazione contro Lopez. Il che fa pensare: fa più paura riallacciarsi a un passato che evoca ricordi infelici, che non perdere chi il Brescia in un modo o nell’altro l’ha sempre tenuto in alto. Come dire: se il suo successore fosse stato un altro più «spendibile», l’esonero sarebbe stato accettato. Per i risultati, Inzaghi comunque se ne va da vincitore e mai nessuno gli toglierà determinati meriti e i numeri. Solo che ormai eravamo arrivati a un punto di non ritorno nel rapporto con Cellino. Un rapporto che era diventato «malsano» e che ormai era soltanto un mettersi sulle barricate vedendo ovunque fantasmi. Era diventato logorante per Inzaghi, sempre sulla difensiva, vivere con una spada di Damocle: stava diventando tutto controproducente e non si poteva più andare avanti «a pezze».

Icona Newsletter

@Sport

Calcio, basket, pallavolo, rugby, pallanuoto e tanto altro... Storie di sport, di sfide, di tifo. Biancoblù e non solo.

Era tutto un circolo vizioso (nel quale anche una minima critica rischiava ogni volta di creare tensione) e la certezza era che stando così le cose, a prescindere dalla stima per Inzaghi, forse davvero non si poteva comunque più proseguire: perché tutto poi si riversa sulla squadra (che pure il tecnico aveva in mano). Ma di nuovo al punto uno: perché proprio Lopez, uno che dentro e fuori dal campo è stato impalpabile? Eppure serve anche empatia. Si prende un’eredità pesantissima in più conscio del fatto che deve combattere la diffidenza, quando non astio, nei suoi confronti. Conscio del fatto che è visto come uno «yes man» e che in questo contesto dovrà guadagnarsi la carta della credibilità prima di tutto con la squadra. Ha preso una strada impopolare la società: nella speranza che quella che pare una strettoia diventi viale della vittoria. Brividi.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato