Bertagnì e social: la storia del sabato al Bianchi, dall’inizio
Al Bianchi ho conosciuto la persona che ho sposato. Era il 2 aprile del 2016. Ovviamente di sabato. Qualche anno prima, in via Gasparo da Salò, avevo festeggiato i miei 30 anni, con una grande cena condivisa col mio migliore amico, che di anni ne faceva 40. La scorsa estate lì ho brindato a un matrimonio, con lo sposo estasiato che ingollava birra e la sposa radiosa che distribuiva pesce fritto: una meraviglia.

Da che ricordo il Bianchi ha fatto parte della mia vita, come di quella di migliaia di bresciani, che hanno contribuito ad alimentare e rinnovare una delle tradizioni più longeve e fortunate che la nostra città conosca: il sabato in Osteria a base di calici di bianco e bertagnì.
La storia
Franco Masserdotti vendeva ancora caramelle quando ha deciso di rilevare l’attività. Era il 1976 e non costruiva sul niente, come testimoniano le pagine conservate come un tesoro dentro un quadernetto ad anelli.
La storia è scritta tutta lì: già dal 1880, in quella che era contrada San Giorgio, c’era un caffè San Giuseppe. Nel 1898 passò nelle mani del signor Bianchi Giuseppe, che dotò del suo cognome l’insegna.
Durante un secolo e più la locanda ha visto alternarsi al bancone almeno cinque osti e dodici ostesse con alterne fortune, ma soprattutto sfortune. Fino all’avvento dei Masserdotti, che nel 2026 festeggeranno 50 anni e sognano di farlo con una grande festa in piazza Loggia.
«Anche per il nonno i primi anni non sono stati una passeggiata: a volte entrava un solo cliente e lo teneva impegnato tutto il giorno. Ma è così che si costruivano le relazioni» racconta Luca Masserdotti, classe 1996, che col fratello Alessio, di tre anni più grande, rappresenta la generazione che ha trasformato l’istituzione del sabato in un fenomeno sociale.
«Per anni nonno Franco ha continuato a fare anche il rappresentante di caramelle, mentre in osteria lavoravano nonna Cici e papà Michele, che ha iniziato quando aveva solo 11 anni». Di anni, Michele, oggi ne ha 59: «Sognavo di andare in pensione – scuote la testa mascherando l’orgoglio – e invece i ragazzi mi fanno lavorare il triplo».
L’invenzione del sabato

«È stato nonno Franco a inventarsi il sabato del Bianchi – raccontano i nipoti –: c’erano già alcuni locali che proponevano l’aperitivo con pesce fritto il venerdì e lui voleva differenziarsi dagli altri, senza pestare i piedi a nessuno. La tradizione ha iniziato a prendere piede fra gli anni Novanta e i Duemila».

Davanti alla porta dell’osteria e intorno al plateatico in ferro battuto si radunavano cinquanta, sessanta persone attratte dal richiamo del bertagnì annaffiato da vino della casa e da più sporadici pirli. Prezzi contenuti, atmosfera casareccia, chiacchiericcio senza pretese: l’epitome di quei «posti sinceri» che hanno fatto la fortuna recente di Instagram. Un’abitudine «alla vecchia», sposata però dai giovani, che in quegli anni hanno fatto del sabato al Bianchi un ritrovo imperdibile.
«A cambiare tutto è stata la Vigilia di Natale 2019. Cadeva di martedì, il nostro giorno di chiusura – raccontano Luca e Alessio –. Ci siamo interrogati a lungo se aprire e alla fine abbiamo ingaggiato anche un dj. Ci siamo detti: mal che vada, se non viene nessuno, ce la godiamo fra noi. Siamo stati letteralmente sommersi. È lì che abbiamo capito che c’era del potenziale da sviluppare».
La svolta col Covid
Per ironia della sorte ci ha pensato il Covid ad infiammare la scintilla, dopo aver temporaneamente soffocato le braci. «Quando ci siamo lasciati alle spalle la pandemia – raccontano i più giovani del clan Masserdotti –, era lampante che la gente avesse voglia di ritrovarsi, frequentarsi e stare insieme, con più semplicità e preferibilmente all’aperto. Il Bianchi offriva in più il contesto: un’attività storica nel cuore del centro». La sistemazione di via Gasparo da Salò, con la realizzazione della piazzetta e l’istituzione della Ztl, ha acceso la miccia. Quaranta chili di bertagnì – 1700 pezzi – spazzolati in due ore ogni sabato. «Negli anni Novanta si arrivava al massimo a 15» chiarisce Michele. La Vigilia di Natale 2023 – la più partecipata di sempre – ha visto transitare dal Bianchi qualcosa come 6mila persone. «È diventato palese che dovessimo fare qualcosa».
Il Bianchi fuori dal Bianchi
È così che la scorsa primavera lo «Stile Bianchi» è diventato un marchio da esportazione: prima un evento al Colmetto di Rodengo Saiano, poi al Pratello di Padenghe e quindi alla Casa Gialla di Ome. Non solo in provincia, però. Il Bianchi ha trasceso i suoi confini per invadere il Museo Diocesano e ha portato il suo aperitivo del sabato fin dentro al Castello. Tanto che alla fine i ragazzi ci hanno preso gusto, cominciando a sfruttare i social per pubblicizzare gli eventi: sempre più virali gag e siparietti ambientati in osteria e che coinvolgono clienti e dipendenti. Anche nonno Franco, oggi 88enne, ha un suo profilo Instagram, dietro cui c’è lo zampino di Luca.
E adesso? Il Bianchi non si ferma più. «L’8 dicembre saremo a Villa Luzzago a Ponte di Legno. Chissà, magari ci sarà pure la neve» sognano i Masserdotti. Per la Vigilia di Natale, però, toccherà uno strappo alla tradizione, che sarà un colpo al cuore per più di qualcuno. «Quest’anno sarà in Castello. Sarà il solito Bianchi, ma con qualche upgrade: ci sarà la musica, ma anche i tavoli per sedersi e soprattutto spazio per muoversi senza stare appiccicati come delle sardine. Il bertagnì? Eh no, non cade di sabato e a quello non si sgarra. Sarà Mesceria Selvatica ad occuparsi del cibo, con piatti e proposte anche per i vegetariani».
Ma per le migliaia che apprezzano questo Bianchi che si «svecchia» – più giovane e più social – c’è una generazione di quaranta/cinquantenni che rimpiange lo struscio lento di via Gasparo, quando il sabato eri il giovane in mezzo agli anziani col cappello e il gilet. «Adesso vengono la domenica – rivelano Luca e Alessio – che è diventata il nuovo sabato, ma non ditelo troppo in giro. È un attimo che si riempia anche quella».
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