L'addio di De Carli al Calvisano: «Ho imparato moltissimo»

Il Calvisano è morto, lunga vinta al Calvisano. Il messaggio con cui Giampiero «Ciccio» De Carli lascia il club giallonero, alla fine di una stagione difficile e travagliata quanto mai, richiama quello con cui le monarchie annunciano la fine del vecchio sovrano e salutano il nuovo. «Con la partita di Torino si è conclusa una storia - dice l’ex pilone della Nazionale -. Oggi ne comincia una nuova. Che per forza di cose sarà completamente diversa da quella del passato, anche se io gli auguro gli stessi successi. È una storia diversa perché nasce da presupposti diversi, con persone diverse. È sempre Calvisano, ma è un libro completamente nuovo».
Di questa nuova storia De Carli non farà parte. Chiamato la scorsa estate da Alfredo Gavazzi ad affiancare Guidi sulla panchina della squadra, l’ex coach degli avanti di Italia e Perpignan, forse non ha scelto il momento migliore per tornare al club con cui aveva vinto gli scudetti del 2005 (da giocatore) e del 2008 (allenatore al fianco del francese Delpoux).
«Sono tornato perché avevo fatto una promessa e la volevo mantenere -spiega -. E da questo punto di vista non ho nulla da recriminare. La stagione non è stata positiva, è evidente, né sul piano dei risultati, né dal punto di vista societario, ma io penso che da ogni situazione, da ogni esperienza ci sia qualcosa di nuovo da imparare. E così è stato». Un esempio? «Mancavo dal campionato italiano da un bel po’, da una dozzina d’anni, e quella di quest’anno è stata un’occasione importante per prendere atto delle problematiche del nostro movimento, dei sui pregi, perché ce ne sono, e dei suoi limiti».
I pregi: «Ci sono tecnici e giocatori bravi, tutte le squadre si sono rivelate difficili da affrontare. E il lavoro a questi livelli non è per niente facile perché devi essere anche un buon formatore. In Nazionale, molte cose le davi per scontate, ai giocatori non dovevi insegnare. In Top10 hai più responsabilità, molti più impegni, ma puoi anche provare la soddisfazione di vedere crescere dei ragazzi che lasci più maturi e più preparati». Però i risultati quest’anno non sono arrivati: «Vincere è l’obiettivo di tutti. Perché il successo regala piacere, divertimento, visibilità. Come arrivare a quell’obiettivo però è ciò che fa la differenza. E a noi è mancato il come». Tradotto in pratica? «Troppo pochi giocatori, una rosa troppo esigua. Il che comportava due limiti: allenamenti con un numero ridotto di ragazzi e conseguente mancanza di competizione interna, che è la molla per crescere. Ne è derivata un’inevitabile mancanza di ambizioni, cui nel tempo, con l’aumentare delle difficoltà, si è aggiunta la mancanza di motivazioni, collettive e individuali».È una critica al gruppo? «Tutt’altro. Il gruppo è stato encomiabile, generoso, si è impegnato fino alla fine. Ma i mezzi erano limitati. Questa era una squadra che per poter competere aveva bisogno di essere perfetta, sempre. Le sue qualità si sono viste a tratti, con il Petrarca, nell’ultima in casa, con il Valorugby, con il Colorno in Coppa Italia, in qualche altra occasione. Ma con numeri limitati i tonfi erano inevitabili».
Infine un augurio al nuovo Calvisano: «Quello di divertirsi come ci siamo divertiti noi in questo club, quando tutto il territorio locale ne assorbiva lo spirito, l’ambizione, la voglia di vincere. Quando in finale ci seguivano mille persone, in praticava l’intero paese chiudeva per la partita. È stato bellissimo».
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