Coach Guidi: «Calvisano? Una vera scuola con Gavazzi»

Gianluca Guidi è sempre stato un allenatore immaginifico nelle sue metafore e ora gli tocca raccontare alla sua maniera la parabola del Calvisano: da vent’anni quasi consecutivi di play off e scudetti, all’addio al Top10 e un futuro tutto da inventare. «Mi piace partire dalla storia di Robin Hood - racconta Guidi-, l’eroe che nascosto nella foresta di Sherwood terrorizzava i ricchi feudatari e lo sceriffo di Nottingham. Calvisano era la foresta che tutti avevano paura di attraversare. Infatti ancora una settimana fa, con tutte le difficoltà che sappiamo, a lasciarci le penne è stato il Petrarca campione d’Italia».
Bella favola, ma proviamo a declinarla in termini rugbistici un po’ più concreti. «Allora dico Gavazzi è stato l’uomo che ha strappato Calvisano al suo destino di realtà provinciale trasformando il paese in una delle capitali del rugby italiano. Lo ha fatto consapevole dei limiti del suo territorio, chiamando nella sua foresta tutti quelli che condividevano la sua visione e le sue ambizioni. Ovviamente, lui non poteva essere Robin Hood, al massimo gli spettava il ruolo di Riccardo Cuor di Leone, il re che lottava per riprendersi la corona e del quale Robin Hood era un alleato».
Gavazzi però è stato anche presidente federale… «Sì – dice Guidi - ma Calvisano ha cominciato a vincere ben prima che lui diventasse presidente. E i giovani venivano a Calvisano ad affinarsi, molto prima che, come sostiene qualcuno, le Zebre diventassero l’approdo garantito a chi indossava la maglia giallonera. Penso a Zanni, a Ghiraldini, Matteo Pratichetti e tanti altri, compresi quelli che alle Zebre non ci sono mai andati. Questo è un club che l’ambizione e la visione di un uomo hanno trasformato in una scuola vera di rugby.
La prova? Anche alla fine di una stagione difficile come questa, appena si è sparsa la voce che la squadra sarebbe scesa di categoria, almeno venti giocatori hanno trovato posto in società di Top10, vuol dire che con Ciccio De Carli abbiamo lavorato bene, mi pare. Ragazzi che altrove giocavano poco, vanno via da rugbisti veri». Le risorse non consentivano di continuare su quella strada. «Direi piuttosto che si è preferito scegliere un altro tipo rugby, più vicino al territorio e meno complicato da gestire. Un’illusione che aveva fatto breccia nel club già da qualche tempo: quella che fosse possibile competere facendo contemporaneamente leva sulla tradizione e su progetti diversi dall’alto livello. Ma purtroppo non è così, la base locale non produce talenti.
Il Calvisano ha vinto con giocatori che venivano tutti da fuori, per ambizione, per le strutture che il club metteva loro a disposizione, per gli allenatori che trovavano, tutti con un passato importante nelle nazionali giovanili o altrove (Cavinato, Brunello, gli stessi Guidi e De Carli, ndr). Segnalo che tre anni fa, Freddy Steward, l’estremo dell’Inghilterra, segnò al San Michele la sua prima meta da professionista con la maglia dei Leicester Tigers. Calvisano giocava in Europa. Si è scelta un’altra strada, resto un tifoso giallonero e auguro a tutti la migliore fortuna».
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