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Buffa: «Sport miniera di storie, il calcio femminile è un paradosso»

Enrico Danesi
Il giornalista e scrittore milanese parlerà di «Grandi vittorie e sorprendenti sconfitte» domani al Palazzetto dello Sport di Ponte di Legno
Federico Buffa, telecronista, giornalista e scrittore - © www.giornaledibrescia.it
Federico Buffa, telecronista, giornalista e scrittore - © www.giornaledibrescia.it
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È un formidabile narratore, Federico Buffa, «capace – secondo un esperto di spettacolo a tutto tondo quale Aldo Grasso – di fare vera cultura, cioè di stabilire collegamenti, creare connessioni, aprire digressioni». Sarà senz’altro così anche domani al Palazzetto dello Sport di Ponte di Legno, quando il giornalista, telecronista e scrittore milanese, classe 1959, parlerà di «Grandi vittorie e sorprendenti sconfitte» con il giornalista Claudio Arrigoni, per la 4ª edizione del festival culturale «Il Sentiero Invisibile» diretto da Stefano Malosso e organizzato dall’associazione OltreConfine con Comune e proloco dalignesi. Abbiamo chiesto a Buffa di anticiparcene il contenuto.

Federico, in «Grandi vittorie e sorprendenti sconfitte» ci saranno le storie di Renato Cesarini, Enrique Omar Sívori e Diego Armando Maradona, i tre talenti ribelli argentini del ’900 protagonisti de «La milonga del fútbol» (uno dei suoi lavori più recenti per il teatro, anche libro per Rizzoli), come è scritto nei report di lancio?

«Non c’è un canovaccio definito, in realtà. Vero che l’universo argentino, forse più di altri e non solo nello sport, va su e giù in continuazione, per cui storie grandiose di imprese e cadute ce ne sono a bizzeffe. Ma non riprendo quello spettacolo, né ci sono con me sul palco Alessandro Nidi e Mascia Foschi, compagni in tale avventura, bensì un moderatore che mi farà domande, come forse il pubblico: vediamo in che direzioni ci portano le une e le altre».

Le sue scelte di narrazione sportiva seguono da sempre criteri emozionali…

«È così. Non mi interessa la vita dello sportivo in quanto tale, mi interessano invece gli esseri umani che esternano il loro talento in vari modi. Senza la componente legata all’individuo, una storia non mi prende al punto da volerla raccontare».

Da Muhammad Ali a Michael Jordan, da Gigi Riva a Kobe Bryant (in uno spettacolo che sarà a Brescia il 28 febbraio) o la Nazionale italiana del Mundial ’82, per citarne alcune, di narrazioni emozionali ne ha messe in scena parecchie. C’è ora un personaggio o un tema sotto la sua lente?

«Sono particolarmente colpito dalla contemporaneità dello storytelling italiano, soprattutto femminile. Le statistiche dicono che a 14 anni l’80% delle giovani italiane, causa fidanzato/studio, smette di praticare sport. Eppure il sistema olimpico nazionale è tenuto in piedi proprio da queste ragazze (quelle che proseguono, ovviamente), che sono anche quelle che vincono di più. Il che significa che non solo battono le avversarie, ma anche un sistema che non le aiuta».

Come se lo spiega?

«Sono varie le analisi che si possono fare. La principale è che l’Italia ha i migliori allenatori del mondo. Se no non potresti ottenere i risultati che ottieni in relazione a una base così contenuta. C’è poi un paradosso evidente, legato al calcio femminile, che rappresenta un’altra miniera di potenziali storie…».

Qual è il paradosso?

«È rappresentato dalla Nazionale femminile che ai recenti Europei ha fatto registrare numeri inverecondi sulla tv italiana, mentre la Serie A Women non ha nemmeno un contratto televisivo. E questo nonostante il fatto che le tesserate stiano crescendo in maniera vertiginosa e abbiano superato quelle della pallavolo, cosa impensabile fino a poco fa».

Che idea si è fatto della questione?

«Il problema è che il calcio femminile in Italia, come anche in America, è molto legato al movimento “Woke” (che sostiene il riscatto delle minoranze: etniche, sociali e di genere, ndr), cosa che lo mette in una situazione piuttosto complessa».

Ma negli Stati Uniti il calcio non è popolare come da noi…

«A livello maschile senz’altro, è irrilevante. Ma negli States il calcio è un fenomeno femminile, capace di portare 50 mila tifose alla finale dei mondiali contro il Giappone, (disputata in Germania nel 2011, ndr). Gente che non segue in genere lo sport americano, ma proprio il calcio, come adesione a un preciso universo culturale. Faccio pure un esempio specifico, per confermare la valenza femminile del calcio in Usa: l’attrice Jodie Foster (due volte premio Oscar, ndr), notoriamente guarda le partite della Champions League con sua figlia, perché il calcio è il loro sport d’elezione. Negli Stati Uniti, dove il presidente Trump ha spesso battibeccato con le giocatrici della Nazionale, molti osteggiano il calcio femminile proprio per questa connotazione».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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