Ciclismo

Dancelli e quel capolavoro in Riviera rivissuto sulla macchina del tempo

Nel 2004 seguì la classicissima Milano e Sanremo sull’auto del Giornale di Brescia raccontando strada facendo il suo trionfo
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Il ciclismo piange Michele Dancelli
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Erano passati trentaquattro anni e un giorno, ma quel 19 marzo del 1970 era nitidamente scolpito nella memoria di Michele Dancelli. Così quel capolavoro dipinto tra Milano e Sanremo (ecco: più una tela che una scultura, fissata en plein air chilometro dopo chilometro) ebbe modo di rivivere quasi per magia, come in una sorta di macchina del tempo in viaggio dalla Madonnina alla Riviera.

In realtà una macchina c’era, era l’auto del Giornale di Brescia al seguito della classicissima di primavera che il 20 marzo 2004 viveva la sua 95ª edizione; con Enrico Moreschi, Guglielmo Bottarelli e il sottoscritto su quella vettura c’era appunto Michele Dancelli, gradito ospite al quale venne comunque imposto di pagare un pedaggio: raccontare strada facendo al giovane cronista la corsa del trionfo che lo rese celebre.

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Michele Dancelli alle telecamere di Teletutto nel 2008

Lo fece volentieri, sin dal chilometro zero, dal dazio che nel 2004 non c’era più, ma 34 anni prima sì. L’auto segnalava la temperatura esterna, 14 gradi: «Il clima ideale – osservò dalla macchina del tempo – per andare in fuga. Allora faceva un pochino più freddo, 9-10 gradi». Ma la corsa si scaldò subito: «Già ad Assago facevamo i 50 all’ora, il nostro diesse Albani voleva che la corsa fosse dura da subito».

Tanto che una quindicina di corridori tentò presto un attacco: tra di loro Durante, che però rovinò su una pianta lungo un viale alberato di Pavia: «Proprio lì». La fuga giusta nacque a Novi Ligure, «sullo slancio di un traguardo volante vinto da Aldo Moser, in questo punto, dove adesso vedi la Ferramenta Trucchi». Cinquecento metri più avanti arrivammo al «Museo dei campionissimi», che raccoglieva pezzi di storia del ciclismo, raccontata anche con tecnologie multimediali: e così Michele ebbe modo di rivedere la telecronaca di Nando Martellini che nel ’70 raccontò la sua vittoria in diretta tivù.

Tra il Turchino e il Berta radiocorsa segnalò l’azione di cinque corridori e allora Dancelli tirò fuori dai cassetti della memoria il momento delicato della sua giornata gloriosa: «Il gregario di Van Looy bucò: lo aspettammo, era quello che tirava di più... In realtà "menavamo" tutti, da me a Van Looy, da De Vlaeminck a Leman, ad Aldo Moser. Tuttavia il vantaggio era sempre esiguo e forte il timore di essere ripresi». Poi l’arrivo in Riviera, riecco l’Hotel Cabiria di Loano, «qui partì il mio allungo solitario». Non lo ostacolò l’ingorgo di auto sul capo Cervo, la gamba rispose alla grande sul Poggio e così «a 100 metri dal traguardo mi voltai e mi resi conto che era davvero fatta». Aveva dipinto il suo capolavoro.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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