Posniak: «Anche il calcio mi ha salvato nella lotta al tumore»

La fine del mondo l’ha vista in un secondo. Quando gli hanno detto: «Sei malato, hai un linfoma di Burkitt al quarto stadio». La fine del mondo l’ha vista in un secondo e ora riesce a vivere la vita com’è: «Con la giusta leggerezza, godendomela più che posso e dando il giusto peso alle cose».
Ma anche con tanta, tanta determinazione: «Ho sempre e solo avuto un sogno: arrivare a firmare un contratto da professionista. E debuttare al Rigamonti con la maglia del Brescia del quale sono da sempre tifosissimo. È il pensiero che ho e chissà come potrebbe essere se penso che ho avuto i brividi quando da aggregato alla prima squadra, per l’amichevole con il Bellinzona, mi hanno dato la mia primissima maglia con il nome. Maglie che poi di solito vanno restituite, ma io ho chiesto uno strappo alla regola e mi è stato fatto il grande regalo di lasciarmela. Il calcio per me è tutto e durante i mesi tremendi della malattia è stato il pensiero fisso che, insieme alla mia grandissima famiglia, mi ha salvato aiutandomi a superare i pensieri peggiori».
La malattia
Alla punta della Primavera Alessandro Posniak, ora 18 anni, la vita è cambiata in un giorno di maggio del 2022, quando dopo un pellegrinaggio in svariati studi medici per capire l’origine di insopportabili dolori alla mandibola («Ci sono stati dei giorni in cui non pensavo che ce l’avrei fatta a superarli»), vomito e una diplopia a un occhio, gli arrivò la diagnosi. Una sentenza agghiacciante, accompagnata dalla frase: «Se avessimo tardato un’altra settimana, non potremmo curarti».
«Ma io – racconta oggi Alessandro, personalità alla massima potenza, spessore ed educazione di altissimo livello grazie a mamma Adele ("La mia forza: siamo sempre stati molti uniti, ma ora tanto di più") e papà David ("Non ho un piano B vero rispetto al calcio, ma se non dovessi riuscire grazie al fatto che lui è sudafricano conosco molto bene l’inglese, potrei darmi a qualcosa di internazionale") – ho sempre voluto sapere tutto, passo passo. Guardavo la cartella clinica, leggevo gli esiti degli esami durante 5 mesi dentro e fuori dall’ospedale e se leggevo delle sigle di cui non conoscevo il significato volevo sapere».
Calvario
Un calvario vero del quale pure riesce ad avere alcuni ricordi che riescono a farlo sorridere: «Fu per me speciale, e lo ringrazio, ricevere in ospedale la visita di Pippo Inzaghi al quale dicono che per caratteristiche io assomigli. Poi c’è stato il sostegno dei miei compagni di squadra delle giovanili e dei ragazzi della prima squadra, su tutti Bisoli e Borrelli. Ma è tutto il Brescia che devo ringraziare per la vicinanza. Tra chi mi ha aiutato, anche Piero Serpelloni e, più di tutti, la dottoressa Maria Pia Bondioni che da alcuni test capì tutto».
Dei vari passaggi di quei mesi infernali, Alessandro ricorda anche un momento particolarmente critico: «Quando persi i capelli. Ma poi capii che non era niente... E casomai quando ti succede qualcosa che non ti aspetti e di così grande nella vita, sai quali sono le cose da mettere in "scaletta" e la salute è la prima cosa. Ho avuto tantissima paura, ma ho scoperto anche una forza mentale incredibile».
Ritorno alla vita
Dal terrore, al ritorno alla vita. Calcio compreso: «Fu bellissimo il mio rientro in spogliatoio, accolto dagli applausi e della gioia dei miei compagni, con molti dei quali avevo condiviso il mio percorso nelle giovanili a partire dai 10 anni. In campo tornai 379 giorni dopo l’inizio delle cure». Senza mai mollare fino «alla chiamata che ho ricevuto la scorsa estate. Ero in vacanza in America e dall’altra parte un dirigente mi comunicava che ero convocato per il ritiro estivo con la prima squadra. È stato tutto più bello che nei sogni. E sono stato trattato, io come gli altri aggregati della Primavera, come uno di loro».
Posniak, intervenuto nei giorni scorsi anche al Magazine di Bresciasette, racconta la sua esperienza senza problemi: «Perché può aiutare. Un giorno una signora contattò mia mamma raccontandole che anche suo figlio era malato. Io ero guarito, mi feci dare il contatto del ragazzo e lo chiamai. Chi meglio di me poteva capirlo nei dubbi e nelle paure? Lo sostenevo con messaggi e chiamate». E ora: «Mi sento più forte». In un mondo in cui sempre più ragazzi dell’età di Alessandro sono alle prese con problemi di sanità mentale, quale può essere il consiglio? «Andate sempre dritti per la vostra strada».
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