I primi 7 giorni di Maran al Brescia: l’equilibratore che deve rompere gli schemi

La pagina è stata voltata. E sono passati sette giorni. «Già» sette giorni: nel Brescia dove tutto brucia in fretta - soprattutto l’entusiasmo, soprattutto la normalità, la stabilità e il buon senso - il tempo ha un valore doppio. In particolar modo poi per chi sa che gli esami cominciano subito e che sul libretto deve rimanere impresso altrettanto subito un voto valido e che faccia media dopo gli zero assoluti degli ultimi cinque appelli.
E così la prima settimana di Rolando Maran, quindicesimo condottiero dell’era Cellino, è stata da frullatore con l’intenzione di abbattere i tempi di acclimatamento: per lui e per il suo staff, ma anche per la squadra. Perché vale quel che l’allenatore sa e quel che è il suo bagaglio di conoscenza, ma quando di tempo non ce n’è, vale ancora di più l’efficacia nel riuscire a trasmettere concetti.
Maran, nei primi atti pratici della sua gestione che inaugurerà ufficialmente l’attività sabato a Pisa, è andato dritto e in parallelo su due punti: il fisico e la tattica. Il fisico: perché al di là dell’aspetto più delicato, quello mentale, la squadra ha per certo un problema di condizione. Non c’è mai un cambio passo, non ci sono mai picchi di intensità e sotto questo aspetto, fino a qui il Brescia è perlopiù quasi sempre stato «doppiato» da tutti. E questa è stata una delle prime problematiche che si pensa di aver individuato.
Problematiche
La tattica: nel test non ufficiale e invisibile agli occhi contro il Bellinzona, davanti a una difesa a tre destinata a essere spartito principe, il tecnico ha provato la variante «4-2-1» (3-4-2-1). È indubbio d’altronde che il Brescia per provare a ritrovarsi, debba passare dal ritrovare la propria forza in mezzo al campo. Facendo quadrare i conti con un parterre di interpreti che sono perlopiù mezzeali. Ma qualcosa, in attesa di gennaio, bisogna inventarsi e dentro la caccia all’aggiustamento della coperta tra fase difensiva e offensiva, Maran è investito del ruolo di equilibratore in un universo, quello del Brescia, nel quale il non senso è la regola che conferma l’eccezione.
La missione per Maran, è quella di riuscire a mettere il suo carisma non urlato, la sua maturità tecnica e umana, il suo sorriso buono ma non buonista, al servizio di una causa nella quale la necessità è quella di rompere alcuni schemi. O la storia sarà destinata a ripetersi, ma senza che ci si possa più permettere che così possa avvenire. Quella che il Brescia ha con Maran, dal profilo e dal curriculum così diverso da quasi tutti coloro che lo hanno preceduto e specie negli ultimi nefasti tempi, è una vera occasione. Ce l’ha la squadra, ora scevra di alibi. Se c’è un momento per dimostrare che è sempre e solo stata colpa d’altri e che il gruppo vale, è proprio questo.
Pericolose abitudini
È chiaro che sempre e solo colpa di altri non è stata. E che uno dei problemi da queste parti è che chi scende in campo è sempre in fondo alla filiera delle responsabilità. È un gruppo anche nel quale probabilmente regna l’assuefazione alle sconfitte e, di conseguenza, l’apatia. Che poi tanto, se le cose vanno male, che problema c’è? Arriverà un altro allenatore. E poi un altro ancora... C’è talmente tanta abitudine agli scossoni, che come tali non sono più avvertiti. E anche i nuovi, inesorabilmente, finiscono risucchiati (vedere, a esempio, le involuzioni di Dickmann o Borrelli) dal vortice di questa mentalità imperante. Va rotto questo schema.
«È una squadra che si applica, di soldati» ha detto l’allenatore in presentazione dopo quello che era stato il suo primo allenamento. Ecco: forse persino troppo soldati. Ecco: occorre anche riuscire a trovare il modo di allenare un certo coraggio a provare a uscire, qualche volta, dai ranghi. E da un ordine mentale che in realtà è un disordine calcistico. Ma questo schema, non è stata la squadra a darselo: lo ha «imparato» e assorbito. È figlio di dinamiche che ormai sono più che altro un circolo vizioso: non esiste altro modo per definire una realtà da 15 allenatori in 7 anni e sfiancante ripetitività.
Questa rappresenta un’occasione anche per Massimo Cellino dopo che con i fatti che hanno portato alla partita con la Cremonese e alla partita stessa, è stato nuovamente toccato il fondo. Come non pensavamo potesse più accadere. Ora o mai più, serve una cellinata al contrario: lasciare che il buon senso attecchisca. Sarebbe l’unico modo per riuscire a sorprendere ancora.
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