Gerarchie, tattica e personalità: al Brescia manca solo il guizzo

Voce del verbo credere. Ma non alla cieca, bensì a ragion veduta. È successa una cosa: che nel Brescia risultano riposti più fiducia e ottimismo ora, con una classifica da quinto posto che non quando la graduatoria diceva prima o seconda piazza, ma con un rumore di fondo dalla pancia che aveva il suono assortito di «se e ma» perché c’erano i risultati, però non l’emozione e un piacere incondizionati nell’assistere alle partite e nell’accogliere i risultati. Con sempre lasensazione che mancasse all’appello qualcosa e che non sempre la squadra si fosse espressa al massimo possibile.
Verso l'epilogo
Era un qualcosa di intangibile in un vivere alla giornata (così come il Brescia viveva d’istinto al quale ci si era anche abituati - anche noi avevamo «messo via» le più volte espresse perplessità legate ai pericoli di un non gioco sul lungo periodo) fino a farsi un po’ tutti risucchiare da un vortice di negatività via via contagiosa. Ora, siamo entrati in tutt’altro campo e accade che dopo un pareggio in una partita da dentro o fuori- che ha portato la serie A lontana di 4 punti a 5 giornate dalla fine - gli animi biancazzurri ribollano come non mai di speranza d’un epilogo magico. Sia questo epilogo raggiungibile per vie dirette o via play off: perché quella vista a Pisa come contro il Vicenza, è una squadra che dà un’idea di prospettiva. Questione del disegno tattico che Eugenio Corini sta cucendo addosso ai suoi. Questione anche di aver stabilito delle gerarchie già molto chiare e che gira e rigira contano ancora qualcosa: solo con la continuità si acquisisce una identità e si sviluppa una personalità. Questione anche dei semi di una nuova mentalità. Che sta attecchendo, ma che non s’è ancora del tutto schiusa.
Il coraggio
A Pisa come con il Vicenza, il Brescia si è infatti ritrovato alle prese con un secondo tempo un po’ incompiuto. Con la squadra di Brocchi ce lo si era potuto permettere in virtù di un primo tempo concreto, con due gol nonostante un tot di sprechi. Era sembrato persino voluto. Ma col Pisa quel tipo di lusso non era consentito. Corini si sarebbe potuto nascondere dietro una questione di carichi ancora da smaltire, di meccanismi da affinare, di qualità dei cambi e calibro degli avversari. Invece no: l’allenatore è andato dritto su una mancanza nell’atteggiamento, nel coraggio. Un messaggio pubblico molto importante, che può servire a responsabilizzare ulteriormente giocatori che forse allora sono ancora alle prese con quella paura di osare fino in fondo che già tanti punti è costata. È una questione di imparare a inquadrare più le opportunità in palio che non i rischi e quindi di cercare con maggiore assiduità e continuità la porta. Lo ripetiamo ancora una volta: in tutto il campionato, l’avversario più temibile del Brescia è fin qui stato il Brescia stesso. È stato così anche col Pisa: un’occasione concessa per uno scivolone di Pajac più rimpallo sfortunato. Troppo poco per mettersi paura da soli e dare forza agli altri. Troppo facile, e soprattutto inutile, sostenere che manchi uno stoccatore: è quello dell’atteggiamento l’unico guizzo da trovare per ritrovare i guizzi sottoporta. Sognare si può. E si deve.
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