Brescia, un colpo d’ala con nuove risposte da diverse combinazioni

Descriva il candidato Andrenacci la squadra in due parole: «Frizzante e vogliosa». Il candidato ora contestualizzi: «Stiamo veramente bene insieme, c’è davvero un bello spirito e spero che questo si riesca a percepire». Questo è il Brescia visto da dentro.
Poi c’è quello visto da fuori. Da dove quello spirito descritto dal portiere facente funzioni da titolare è perfettamente catturabile, insieme agli sforzi per mantenere il più sana possibile l’aria che si respira nella «bolla squadra», ma che ancora è difficile inquadrare a livello di definitivamente aspirazioni. È difficile, perché qui è sempre tutto più faticoso che altrove. E perché un ambiente paludoso - e non si capisce come possa essere bonificato -, con una nuova escalation della contestazione nei confronti di Cellino, finisce spesso per caricare i giudizi o di estrema negatività - basta sempre troppo poco per preoccuparsi e temere che tutto precipiti - o di eccessive aspettative. Anche in questo caso, tanta è la voglia di uscire dai giochi al ribasso, a volte basta poco.
Quindi, come è messo il Brescia? Toccasse a Ligabue dirlo, «Per il cielo (pensare definitivamente ai play off) è un po’ presto, per l’inferno non c’è posto (c’è un rassicurante +10 sui play out) e per qualcuno (chi non perde l’occasione di scovare una miccia da accendere, di cercare un caso o trovare un pretesto qualunque per inquinare al di là di sacrosante rivendicazioni) è solo buio pesto».
Insomma, qui è sempre questione di una linea sottile. E riuscire a tenere la barra dritta in un mare agitato, anche quando non sembra, non è oggettivamente compito semplice.
Qualità
Ci sta riuscendo una squadra che si vede «frizzante e vogliosa» anche perché Rolando Maran l’ha convinta a vederla con i suoi stessi occhi lavorando tantissimo sull’autostima di un gruppo troppo abituato a essere sempre molto incudine, poco martello. Nel percorso, ora arrivato alla tappa numero 11 (come media di 1,7 punti a partita), c’è stato anche il momento della flessione. Quella che indubbiamente c’è stata contro Südtirol e Cremonese.
Non era stata una questione di punti, ma di una espressione collettiva appannata e che non poteva essere spiegata solo con le pur decisive (siamo i primi a dire che questa squadra al completo può riuscire in tutto e senza alcuni pezzi può invece subire di tutto) assenze. E così quella con il Cittadella era diventata una partita già delicata perché il «rischio braccino» e di rivedere certi fantasmi che l’allenatore ancora ritrova nei giocatori («In settimana - ci ha detto Maran nel dopo gara col Cittadella - avevo visto i ragazzi un po’ così... disorientati dalla sconfitta con la Cremonese. Ma non perché avevano perso: perché bruciava il fatto di non essersela giocata alla pari. E non nascondo il fatto che c’era il rischio che questo si trasformasse in scoramento per questa partita».
Il primo passo per non precipitare nello psicodramma, è stato quello di non nascondersi dietro ad alibi (assenze appunto, o un mercato che non c’è stato), ma di accettare che qualche problemino e qualcosa da rivedere ci fosse. Sintomo che non solo l’allenatore, ma anche il gruppo, ritiene di poter andare anche oltre se stesso. Il secondo step, questo tutto di Maran, è stato quello di prendere da subito il sacco in cima e scuoterlo facendone uscire un Brescia con una nuova (vecchia, ma al momento più funzionale) combinazione tattica e di interpreti.
Facendo sedere in panchina al momento giusto chi aveva bisogno di una scossa (esempio Mangraviti), dando una chance a chi aveva bisogno di scaricare - in maniera utile per la squadra - le proprie motivazioni e anche - perché no - la rabbia per essere stato tanto a guardare (esempio: Paghera), proponendo per uno spezzone significativo una nuova potenziale coppia gol da cimentare (Borrelli-Moncini). Così, prendendo la rincorsa sulla linea sottile, il Brescia che non s’accontenta e non si siede ha trovato un nuovo colpo d’ala.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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