Calcio

Brescia: la rassegnazione di un Rigamonti che resta senza gol

Il Monza ha dimostrato come ci sia la volontà di raggiungere quella serie A che nella storia, in più di un’occasione, si è trasformata in chimera
Fuochi d’artificio fuori dalla Curva Nord prima del secondo tempo - Foto New Reporter © www.giornaledibrescia.it
Fuochi d’artificio fuori dalla Curva Nord prima del secondo tempo - Foto New Reporter © www.giornaledibrescia.it
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Il Monza non vuole andare in A. È una leggenda metropolitana che ha cominciato a girare una quarantina d’anni fa, dopo una serie di delusioni a catena. Nel 1978, terza in classifica, la squadra perse a Pistoia alla penultima giornata e fu scavalcata dall’Avellino, poi promossa. L’anno dopo altro torneo da protagonista, altro crollo – stavolta in casa – al penultimo turno, contro il Lecce, ricorso allo spareggio perso contro il Pescara. Nel 1979-80 fu il Brescia a spegnere il sogno dei brianzoli dopo una memorabile partita al Rigamonti, stavolta alla terzultima giornata, finita 2-0 e che di fatto spalancò le porte della A alle rondinelle.

A sbloccare fu Bortolo Mutti, oggi allenatore e opinionista, ancora grande amico del Brescia - protagonista di quel campionato con 9 pesantissime reti. Misteriosamente non fu confermato l’anno dopo, al suo posto vennero Crialesi e Penzo, che segnarono 4 gol in due e la squadra tornò in B.

Anche l’anno scorso il Monza ha mancato il grande obiettivo perdendo ai play off col Cittadella e sono tornati in auge i complottisti, anche se la società – ora in mano a Berlusconi e Galliani – non ha mai nascosto le sue ambizioni.

Ma davvero possiamo credere che uno si iscriva a un campionato per non vincerlo? E per quale sopraffina forma di masochismo buttarlo via proprio alla fine? A meno di non pensarla come il presidente della Longobarda nel celebre film «L’allenatore nel pallone» quando al grido di Oronzo Canà («Vincere e vinceremo»), nella sequenza successiva replicava («Perdere e perderemo») perché la serie A gli costava troppo.

Oggi nessun proprietario di squadre di calcio rifiuterebbe la prospettiva di giocare nella massima serie: se non per la gloria, quantomeno per i diritti tv. Fatto sta che ieri il Monza ha dimostrato al Rigamonti che in A ci vuole andare, e come, gettandosi definitivamente alle spalle oltre 40 anni di  insinuazioni. E lo ha fatto con una sicurezza e una personalità che ha finito con lo spegnere l’entusiasmo dei tifosi di casa.

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A parte l’ammirevole Curva Nord – che non ha mai spesso di cantare e alle cui spalle si sono visti i fuochi d’artificio a inizio ripresa – progressivamente è calata sullo stadio una cappa di sgomento. C’è chi ha lasciato la tribuna già a un quarto d’ora dalla fine, fra l’altro senza un fischio o una protesta. In questo caso la rassegnazione è più pericolosa della ribellione. E le domande, sulla metropolitana come sui siti, erano sempre le stesse: «Perché una trasformazione così radicale fra rendimento casalingo ed esterno?» E c’è chi rimette in discussione il tecnico, anche se c'è chi lo difende.

Ecco il sapido commento di un tifoso su facebook: «Vinciamo, grande mister, brao Pippo, cambi giusti al momento giusto. Perdiamo, colpa di Inzaghi, sbagliato modulo, con lui non facciamo nemmeno i play off. Fatemi capire: lè brao o lè lofe?». Unanime invece, nelle due città, la considerazione su Balotelli, che ha giocato (male) gli ultimi due campionati prima col Brescia, prima col Monza. Non un accenno, un ricordo, un minimo segno di condivisione. SuperMario completamente dimenticato: e, anche in questo caso, è un silenzio che grida più di una sirena.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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