Brescia in serie C: un disastro nato e compiuto da dentro, partendo dall’alto
Rabbia, tanta. E incredulità. Anche se non può dirsi una sorpresa. Da mesi, al di là dell’afflato di reale e concreta speranza nell’ultimo scorcio, eravamo pronti a questa evenienza: ma nell’intimo, pronti non si è mai davvero. Il Brescia è in serie C: nero su bianco. Il Brescia è retrocesso: non c’è appello. Signore e signori: il disastro è servito. Il Brescia è in serie C. Il Brescia è retrocesso. E bisogna continuare a ripeterselo per vincere l’incredulità.
Lo scempio è stato certificato ieri, ma non si è consumato davvero ieri. È stato costruito e fabbricato - non siamo nel campo della casuale annata no, di quelle che possono capitare - su solide basi di superficialità, incuria, supponenza, improvvisazione a vari livelli e paurosi vuoti. Ingiustificabili. Con un’aggravante: il Brescia torna in quella serie C che non conosce più da 38 anni al termine di uno dei campionati di serie B dai valori più mediocri di sempre. Fa malissimo l’epilogo. Come un cazzotto dritto alla bocca di uno stomaco già afflitto dal dolore cronico di una stagione letteralmente allucinante. Nella quale Massimo Cellino ha superato persino se stesso. Massimo Cellino: la firma sulla stagione è la sua.
Faro puntato su Cellino
Non ci sono capri espiatori da andare a cercare: stavolta, qui, c’è un responsabile riconoscibile e riconosciuto. È il tramonto di un sistema gestionale unipersonale già di per sé superato e in lotta con le richieste del calcio moderno e che infine è imploso a furia di colpi e picconate arrivati... dall’interno. Proprio così. La fragilissima struttura che è il Brescia, si è corrosa. Giorno dopo giorno. Mangiata e consumata dalla mancanza di unità di intenti e guerre interne, anche negli staff.
«Ho visto lei che bacia lui, che bacia lei, che bacia me»: è il tormentone estivo di Annalisa, ma potrebbe benissimo essere la colonna sonora ideale per descrivere un sistema di tutti contro tutti (dietro la scrivania come al centro sportivo) fondato sulla cultura del sospetto stimolata dallo spirito di sopravvivenza. È scappato tutto quanto di mano ed è accaduto perché Cellino, fiaccato dai suoi guai, non era sufficientemente lucido per tenere le redini di un sistema che per avere un minimo di senso, presuppone una testa fredda al comando.
Aggravante numero due: Cellino si era reso conto benissimo di non esserci al 100%, ma ha pensato che sarebbe potuto bastare anche così ed è rimasto sordo agli appelli di chi lo metteva in guardia sulla brutta china che la stagione stava prendendo e lo invitava, ad esempio, a scegliere un uomo forte al quale attribuire poteri. Sarebbe bastato poco.
Aggravante numero tre: il presidente e proprietario del Brescia ha risolto i propri guai in corsa e in tempo utile per raddrizzare la barca. Ma anziché approfittare della circostanza per rimettere ordine, ha preferito alzare l’asticella della sfida impoverendo la squadra a gennaio. Scegliendo di non sostituire Moreo, scegliendo di non aggiungere un bomber, di non rinforzare la difesa.
Quattro allenatori

Una squadra sballottata di qua e di là, passata di mano da una guida tecnica all’altra (4 allenatori). Con una particolare, misteriosa e infine deleteria insistenza - replicata due volte - su Pep Clotet (stagione record per lui: due retrocessioni, perché questa è anche sua, in una stessa annata, l’altra è con la Torpedo Mosca) che ha contribuito a minare la già scarsa autostima di un gruppo non troppo qualitativo, con livelli minimi di personalità e dentro il quale il senso di appartenenza non è mai stato considerato un valore da instillare.
Ingiudicabili Aglietti e Possanzini che però in pochi giorni era riuscito a togliere un po’ di negatività al gruppo preparando il terreno per Gastaldello al quale va fatto un plauso, ma che è stato parte dello staff - quello di Clotet appunto - che più ha inciso in negativo. Gastaldello come paradosso in una stagione piena di paradossi.
Non è un’assoluzione nemmeno per dirigenti di campo o di scrivania come i Giorgio Perinetti o i Luigi Micheli: se si occupa un ruolo e si ritiene di non poterlo espletare, o si fa un passo indietro o se lo si accetta comunque, ci si prende la propria parte di colpe. E ora? Chissà, magari ci saranno sorprese dai tribunali, o magari no. Ma a prescindere nulla cambierà quanto accaduto. Troppo grave. Chi perde spiega. E adesso, quindi, Cellino deve spiegare. Tutto e bene. A partire da come pensa di poter ripartire in una categoria qui sconosciuta da 38 anni e per lui sconosciuta in assoluto. Il Brescia è in serie C. Il Brescia è retrocesso.
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