Brescia, il corto circuito e il bisogno di aria nuova

In particolare nell’azione dell’1-2 del Frosinone, in quella decelerata improvvisa e inspiegabile di Davide Adorni è in realtà racchiuso tutto il Brescia. La fotografia perfetta per rappresentare lo stato di confusione che regna in ogni anfratto biancazzurro.
Nel quale, dentro come fuori - ma tutto nasce da dentro - è in atto un corto circuito. È possibile ritrovarsi alla fine di gennaio, a Brescia - seppure in una stagione nata al ribasso delle ambizioni - a ragionare sul trittico di partite Como-Perugia-Modena come quello che al 70-80% determinerà le sorti di questa comunque già disgraziata stagione? È bene mettersi in testa che il blasone e gli stemmi non portano punti. «Figuriamoci se il Brescia può mai retrocedere...».
E invece sì: può succedere, meglio rendersene conto. E per prima cosa, occorre guardare alla luna e non al dito. E nella luna c’è scritto che c’è una squadra che prima di ogni limite strutturale, prima di ogni gap tecnico e caratteriale da colmare, è satura da non poterne più. E i segnali sono evidenti. Non manca nulla a Bisoli e compagni per lavorare nella quotidianità e nemmeno sul conto corrente (e questo quando si tratta di cercare motivazioni va sempre tenuto presente), ma vista dall’esterno manca quanto fa la differenza per chi svolge un lavoro nel quale 2+2 raramente fa 4 perché serve tutto un contorno di unità d’intenti. Che non c’è.
Ognuno va per conto proprio in un quadro dove c’è un presidente che ha richiamato un allenatore che si era sentito sollevato al momento dell’esonero e non per convinzione, ma perché - come primaria motivazione - deve rimediare a una situazione che anche lui ha contribuito a creare. Di conseguenza, c’è un allenatore per il quale è normale, tra l’altro in pieno mercato, non aver avuto ancora un solo incontro-confronto con Cellino, che è tornando prima di tutto puntualizzando sulle critiche e che vede gli accadimenti filtrati non da un diesse in questo momento indisposto, ma dal vice Gastaldello. Ma nulla è normale in tutto ciò.
Può essere normale che il gruppo squadra, al netto della presenza quotidiana a Torbole del segretario Andrea Mastropasqua che dunque appunto fa altro per mestiere, non abbia soprattutto in una situazione così delicata un riferimento sportivo? Senza contare che è anche periodo di mercato e che malesseri, malumori, disagi che possono portare a crisi tecniche individuali, a maggior ragione vanno recepiti e tradotti. La squadra - alla quale però pur prendendo atto delle anomalie non intendiamo concedere alibi e non ci si scappa dal banale, ma giusto si può e si deve dare di più - è, né più né meno, in balìa di se stessa.
E non può non indurre a profonde riflessioni il ripetersi di situazioni in cui giocatori che avevano tutto per diventare se non bandiere, almeno punti di riferimento sia in termini tecnici sia di appartenenza (Torregrossa, Donnarumma, Sabelli, Moreo...) abbiano tutti alzato bandiera bianca. Scrivemmo al termine della stagione scorsa, che la era sfumata per una questione di dettagli interni. Sempre conflitti e situazioni che una dopo l’altra avevano trasformato la squadra in un gruppo incapace di reagire e prendere una posizione di fronte a qualsivoglia evento. Apatia. Ora diventata stanchezza mentale non si capisce quanto recuperabile. Occorrono forza e voglia di cambiare più di qualche faccia perché c’è bisogno di aria fresca ancora prima che di chi sa fare una diagonale o farsi trovare pronto in area (per quanto...).
Il rovescio della medaglia - e in questo Clotet ci trova d’accordo - è però anche quello che deve portare chi non si sente felice o in grado di combattere, ad alzare la mano. Altrimenti è sempre troppo comoda e siccome nel calcio (qui peraltro c’è un pregresso di squadre che ne hanno vissute di peggiori, anche senza stipendi ma che si sono sempre compattate) esiste una possibilità di poter scegliere il proprio destino ben più alto che in qualsiasi altra professione in cui contenti o meno si va avanti, c’è appunto anche l’eventualità di potersi chiamare fuori. Onestà intellettuale.
A ogni modo tutto parte dalla testa in tutti i sensi. Anche in quello figurato perché è ovvio che tutto - essendo il Brescia una società a immagine di chi la guida - è il prodotto della perdita di reale controllo da parte di Cellino. Un fabbricante di tempeste a tavolino, come già lo ribattezzammo, che comunque dietro a ogni mossa aveva sempre una strategia. Ora, la sensazione - con la speranza che Cellino abbia umiltà e ancora forze residue (avendo a cuore il Brescia, non siamo tra coloro che provano anche solo un pizzico di piacere in una situazione così) per trovare una direzione - è invece squella di una barchetta che va con chi rema di qua e altri di là. E siccome non è tardi, non si può più fingere che così non sia.
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