Brescia, l’ex capitano Stefano Bonometti: «Speriamo che torni il sereno»

Nato e cresciuto con la maglia delle rondinelle, indossata per la prima volta a 13 anni. Recordman di presenze con 423 gettoni mai raggiunti da altri. E capitano il giorno della vittoria dell’unico trofeo, la coppa Anglo italiana a Wembley. Tutto questo è Stefano Bonometti. «Un uomo – racconta poche ore dopo l’esclusione ufficiale del Brescia dai campionati professionistici – che oggi soffre davanti ad un epilogo che non mi sarei mai aspettato di vivere».
Qual è la prima sensazione davanti a 114 anni di storia che svaniscono?
«È un dramma. Compiuto con arte in questi otto anni da una persona che non voglio nemmeno chiamare presidente perché un presidente non si comporta così. Ma forse lui non ha mai tenuto a questa squadra, a questa città e a questi colori. Lui ha avuto sempre come obiettivo quello di portare a casa soldi. E noi bresciani abbiamo pagato sulla nostra pelle e con la nostra storia. Mi sento tradito».
Si sarebbe mai aspettato un epilogo così?
«I presidenti che ho avuto non si sono mai comportati così. Hanno fatto il massimo per il bene del Brescia e tanti ci hanno rimesso personalmente. Nessuno ha fatto fallire la società».
La sua avventura con la maglia del Brescia inizia sotto la presidenza Saleri…
«Un signore, un uomo di altri tempi, legato al territorio e che voleva fare bene. Poi ho avuto Baribbi che aveva portato il Brescia in serie A, ma per lui una volta nella massima serie le cose non andarono bene dal punto di vista finanziario. Ha fatto però di tutto per la squadra e ci ha rimesso tanto. Poi c’è stata la gestione Ravelli, che non è stata il massimo, ma ha comunque tenuto in piedi il club. Non aveva le potenzialità per portare avanti un progetto forte, ma è stato sempre serio e rispettoso verso i tifosi».
E poi Gino Corioni.
«Che è stato il presidente che ha portato il calcio migliore a Brescia. Ha speso tanti soldi e oggi bisogna saperlo riconoscere. Anche lui pur di non far fallire la società ha avuto difficoltà personali. E questo mi fa rabbia se penso a Cellino che in questi anni non ha mai fratto mercato, se non in uscita per le proprie tasche. L’investimento per il centro sportivo lo ha fatto ma per se stesso dato che è intestato ad una sua società e non è del Brescia calcio».
Quale è stato il punto più alto della sua carriera con la «V» bianca sul petto?
«Tutti pensano alla vittoria della Coppa anglo italiana a Wembley nel 1994, che è stata stupenda e che ancora oggi rappresenta l’unico trofeo vinto in 114 anni. Io penso invece alla storica doppia promozione dalla C alla A tra il 1984 e il 1986. Era un altro calcio ma riuscimmo a fare una cavalcata incredibile con Pasinato in panchina. Poi una volta in A ci furono troppi cambiamenti e quindi arrivò subito la retrocessione, ma è stata tra le pagine più belle della mia vita in maglia Brescia. Non posso dimenticare infine l’era Lucescu, il più grande allenatore che il club ha avuto».
E il futuro del Brescia, con l’impronta di Giuseppe Pasini come lo vede?
«Sono contento perché è un imprenditore serio che ha fatto molto bene a Salò. Certo, ascolto anche le voci di chi dice che bisognerebbe ripartire con una nuova società e non con il trasferimento in città di una realtà esistente altrove. Ma iniziare una nuova avventura tra i dilettanti sarebbe molto complicato. In due o tre anni potrebbe sicuramente tornare tra i professionisti, ma vedere il Brescia in Eccellenza è qualcosa che fa vergognare. Ben venga Pasini che ha dimostrato di saper fare calcio vero».
Da storico capitano cosa si sente di dire alla piazza?
«In questi anni mi sono disamorato e non sono più andato al Rigamonti perché non mi è mai piaciuta la gestione Cellino. I tifosi stanno soffrendo come tanti noi che hanno vestito la maglia del Brescia e li capisco perché anche per me è un dramma. Il 3 luglio sarà ricordato per sempre come l’ultimo giorno di una storia lunga 114 anni, ma pur facendo danni enormi la tempesta è passata. Ora speriamo arrivi finalmente il sereno e che il Brescia possa tornare dove merita».
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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