Calcio

Brescia Calcio, urge una gestione più in linea con i tempi

Cellino ha costruito sulla «precarietà» i suoi successi sportivi, ma ormai certi modi invece che produrre reazioni provocano assuefazione
Brescia calcio, la sede - © www.giornaledibrescia.it
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Da dove cominciamo? Dal principio di una stagione finita bene rispetto alle aspettative iniziali, ma male - molto male - per come l’annata si era dipanata e per l’occasione che si è prospettata dentro un campionato di livello rivelatosi mediocre e nel quale, fino all’ultimo, c’è stato spazio e tempo per tutti. In termini assoluti e in riferimento al risultato sportivo, non si è trattato di un fallimento. Ma, come abbiamo già scritto, fallimento lo è stato in chiave gestionale. E questo aspetto, alla fine dei conti, è quello che ha inficiato l’epilogo.

L’organizzazione e la linearità portano punti. L’esatto contrario invece sortisce un perenne senso - nella quotidianità - di precarietà. Che sembra un ossimoro se sull’altro piatto della bilancia mettiamo invece la solidità dei conti del Brescia. Precarietà e solidità: le due facce dello stesso Cellino. Solo che i riflessi negativi del lato A, quasi neutralizzano quelli positivi del lato B e stanno producendo sempre più effetti collaterali. Dopo 5 anni, il progetto che stava alla base dell’approdo dell’imprenditore sardo alla guida del Brescia, non è al punto in cui ci si aspettava sarebbe stato sul piano sportivo nel quale i benefici di conti in ordine si devono prima o dopo riflettere.

Un po’ sinceramente fa sorridere chi si stupisce del modus operandi dell’uomo di via Solferino che le sue fortune calcistiche le ha sempre basate sì su un’attenta programmazione economica, ma anche su colpi di scena, tempeste fabbricate a tavolino, esoneri e azioni sempre condotte in prima persona in contesti di divide et impera. Solo che nel frattempo, mentre il presidente del Brescia tirava dritto per la propria strada, il mondo del calcio cambiava e i suoi attori anche: sono diversi gli allenatori, sono diversi i giocatori, è diversa persino la stampa.

Perché sono cambiate, e sono diverse, le sensibilità, le dinamiche mediatiche: certi metodi, che pur cruenti fino a un certo punto riuscivano a pagare dividendi, non riescono più a essere metabolizzati. Risultano fuori dal tempo e anziché produrre reazioni, provocano assuefazione e apatia. Ce ne accorgemmo quest’estate: dalla sera alla mattina, durante il ritiro, se ne andò il diesse (il primo dei 4 di stagione con Botturi, Ortoli e Marroccu) Roberto Gemmi con la squadra che rimase qualche giorno in una specie di autogestione e nessuno fece una piega. Non i tifosi, non i giocatori che non hanno abbozzato stracci di reazioni nemmeno in occasione di un esonero non esonero (quello di Inzaghi a febbraio, con la vicenda gestita malissimo) o di un esonero vero a 7 giornate dalla fine della stagione. Tutto normale. Ma normale non è stato nulla: e quando non si riescono più a vedere le storture, qualche cosa non va.

L’annata appunto era iniziata male con la girandola di dirigenti «senza portafoglio» fino all’arrivo a ottobre di Marroccu (il quale a sua volta non può uscirne indenne perché almeno fino a un certo punto ha agito in condivisione) e con la scelta - che era stata effettuata in solitaria - di un allenatore, Inzaghi, che non si è rivelato quello giusto: oppure non giusti si sono rivelati i presupposti. Inzaghi ha avuto le proprie colpe - come non aver fatto crescere la squadra nella convinzione di poter puntare in alto nonostante i fatti dicessero che le griglie estive erano carta straccia -, ma poi, oltre alle difficoltà tra le quali era partito, è anche stato minato fino all’inevitabile, e a quel punto giusto, esonero.

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Dentro un rapporto ormai divenuto «insano» con il tecnico di Piacenza, si era consumata la sessione del mercato di gennaio. Che era stato - e sarebbe disonesto scordarsi che unanimemente fu promosso a pieni voti - al rilancio. Ma alla prova dei fatti, dentro una squadra a personalità limitata, Adorni, Proia e Behrami non hanno dato nulla; Sabelli non è stato continuo e giusto Bianchi pur nel poco utilizzo è stato decisivo. È andata male. Semmai l’errore è stato non capire che Bajic (delusione) aveva ormai preso la strada di una involuzione totale e che Ayé faticava a riprendersi. Poi è arrivato Corini, al quale va riconosciuto un grande cuore: ci ha messo del suo, in termini di scommessa personale. Si è rimesso in gioco sfidando lo scetticismo: ci ha creduto tanto. Aveva da guadagnare. Sulla carta era lui l’uomo giusto al posto giusto alla fine non ha dato il frutto della serie A che era la sua missione. È stato anche sfortunato e però è mancato anche a lui qualcosa: ma ha ridonato una botta di vita dentro un «sistema Brescia» da sottoporre a urgente revisione.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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