Brescia, appropriarsi del sogno trovando un po’ di felicità

La memoria ha le sue pagine, ogni sbaglio ha le sue scuse, ogni tempo ha le sue regole. Per quanto possiamo girarci intorno la stagione è stata buttata via. Almeno in primo grado perché per fortuna è concesso l’appello dei play off. Ma prima di mettere testa e anima sul Perugia, è necessario prendersi un attimo per analizzare alcuni spunti (per le riflessioni approfondite grazie al cielo non è ancora ora) lasciati dalla memoria, dagli sbagli e dal tempo della regular season. Occorre uno sforzo per attivare il meccanismo della digestione specie perché è difficile capire da che parte inquadrare il primo lungo round di una stagione in cui niente, per la maggior parte degli istanti, è andato come previsto.
Nessun pronostico è stato rispettato, nemmeno quello per cui «in A ci va solo chi ha il bomber da doppia cifra». Macché: Lecce (trascinato da Coda) a parte, ci è andata la Cremonese che in testa alla classifica dei suoi marcatori ha una terzetto da 8 gol pro capite e terzo è arrivato il Pisa il cui goleador è Puscas, anche lui a quota 8. Iniziamo da qui per dire che insomma, il diavolo in questo campionato, s’è nascosto a tutti i livelli nei dettagli che sono in prima battuta costati il bersaglio grosso. Sostenere quindi che Bisoli & C. non siano saliti in serie A direttamente solo perché è mancato un bomber, per quanto comodo, sarebbe superficiale. È più complesso di così.
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I punti
Non che un finalizzatore non andasse inserito a gennaio (anzi), ma i fatti serviti da questo campionato - di livello mediocre - dicono che sarebbero bastati anche solo 2-3 gol in più di Ayé e/o di Bajic oppure di un paio di centrocampisti. Sono, a titolo di puro esempio non certo per cercare capri espiatori, mancate le reti di Proia, che invece non è riuscito a impattare. Ed è mancato in generale l’apporto in termini di continuità degli interpreti di gennaio. In tutto ciò c’è stata la confusione tattica generata da una rosa che per trequarti di stagione con Inzaghi ha vissuto all’insegna di formazioni stravolte perché sempre pensate in funzione degli avversari. Ecco: questo aver ragionato sempre troppo sugli altri, questa «educazione» a vedere sempre gli altri come più forti perché le griglie estive dicevano questo senza adattarsi a quel che invece (per meriti propri) diceva il campo, ha prodotto una squadra già di per sé senza un tasso memorabile di personalità, sempre troppo timorata, spesso inibita e mai troppo consapevole dei propri valori: non assoluti, ma adeguati a questo torneo se è vero come è vero che fino alla penultima giornata si è stati in corsa per la A diretta. E un vissuto così lungo (senza con ciò assolvere per forza Corini: se il Brescia è mancato sul più bello pure a lui è di certo mancato qualcosa) non si rovescia in fretta. Una A diretta accarezzata, senza quasi che la città se ne sia accorta.

Il cammino di regular della squadra, è sempre stato percepito come faticoso: mai gioioso. Nessuno si è goduto nulla durante il viaggio col panorama rimasto nascosto dietro a un dito sempre puntato sulle mancanze invece che sulle risorse. Ed è così anche adesso all’approssimarsi dei play off. Arriverà il tignoso e lanciato Perugia e si pensa solo al pericolo che gli Alvini’s sono, invece che pensare ai 2 risultati su 3 a favore. E poi, ancor prima di passare il turno, è già in tasca il pessimismo ragionando sul Monza...
In stagione ha regnato la negatività, con scarsa fiducia nella squadra salvo poi ritrovarsi ad ascoltare ora solo commenti di delusione totale. Come è possibile? Perché è stata un’annata «distorta»: a partire dai rapporti. E (anche) questo è materiale di riflessione per Cellino: quello che arriva in basso, parte sempre dall’alto. Ma è tempo, ora, di dimostrare che non è - come i 4.500 spettatori di media suggerirebbero - un luogo comune che Brescia meriti la A. È tempo, per tutti, di cercare da qui a sabato di essere almeno un po’ felici e di appropriarsi di un sogno che sia davvero di tutti.
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