Il pallone piange il maestro Luciano Zanchini, Prandelli: «Come un padre»

La scomparsa a 78 anni. Da presidente del Soncino fino alle panchine da prof: portò l’Orceana in serie C2
Luciano Zanchini ai tempi dell’Orceana - © www.giornaledibrescia.it
Luciano Zanchini ai tempi dell’Orceana - © www.giornaledibrescia.it
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Il calcio bresciano (ma non solo) piange uno dei suoi decani. A 78 anni se n’è andato quasi improvvisamente Luciano Zanchini, che sarebbe riduttivo etichettare come semplice allenatore: era sì un tecnico, ma la sua era una storia particolare, che l’ha visto partire dalla sua Soncino, appena al di là del confine, per scrivere poi pagine sportive importanti soprattutto con l’Orceana e legando il suo nome a Cesare Prandelli, ma andando anche al di là del rettangolo verde.

Una banale caduta domestica, una decina di giorni fa, è stata per Zanchini l’inizio della fine. «Torno presto», ha ripetuto agli amici fino all’altro giorno, prima di spegnersi ieri, lasciando nel dolore la moglie Sandra e le figlie Sabrina e Sonia.

Storia

Zanchini era una sorta di «maestro» della panchina. Aveva un’azienda che produceva antenne tv e tutt’ora le figlie possiedono un bar in centro ad Orzinuovi. Partì come presidente del Soncino a metà anni ’70, poi decise di mettersi in panchina e iniziò tutta un’altra storia. «Tante volte gli ho detto che doveva scrivere un libro sulla sua vita. Vendette la fabbrica e decise di fare il tecnico nei professionisti. Era un innovatore, a quei tempi forse fin troppo avanti», ricorda Prandelli con la voce rotta dall’incredulità. Carriera. In effetti Zanchini, classe ’44, nel calcio è stato avanti. Dopo le prime esperienze, nel 1987 arrivò dal Villongo all’Orceana del presidente Correnti e la condusse in C2 vincendo l’Interregionale.

Guidò in provincia anche Palazzolo e Ospitaletto, nel settore giovanile del Brescia. Di recente anche nei vivai della Cremonese e dell’AlbinoLeffe, nonché in quello dell’Atalanta dove aveva anche svolto il ruolo di formatore per i colleghi. Gli amici raccontano che non di rado si svegliava la notte per mettere a punto degli schemi. Legame. Proprio con Prandelli, però, instaurò un profondo legame. E infatti lo seguì come collaboratore a Venezia ai tempi della scalata degli anni ’90 e poi a Verona.

E con lui aveva un dialogo continuo, anche quando l’orceano andò in Nazionale: «Il rapporto era giornaliero. Quando avevo qualche dubbio, con lui c’era un confronto - ammette Prandelli -. Era una persona di cultura, calcisticamente avanti nella ricerca del gioco. È sempre stato fonte d’ispirazione per me. Era un amico, come un secondo padre. È una tragedia per me, perché mi sento uno di famiglia. E quando le cose sono inaspettate, sono forti da accettare». Parole che descrivono al meglio colui che per tanti è stato un vero maestro.

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