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Baggio: «Su Netflix racconto la mia vita che passa da Brescia»

«Il Divin Codino» si racconta a pochi giorni dall'uscita dal film omonimo che ne ripercorre la straordinaria storia
L'addio al calcio di Roberto Baggio dopo la sfida tra le rondinelle e il Milan: era il 16 maggio 2004 - © www.giornaledibrescia.it
L'addio al calcio di Roberto Baggio dopo la sfida tra le rondinelle e il Milan: era il 16 maggio 2004 - © www.giornaledibrescia.it
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«Baggio è l’impossibile che diventa possibile, una nevicata che scende giù da una porta aperta sul cielo». Sono parole di Lucio Dalla che ben esprimono l’essenza di un campione sui campi di calcio, di un uomo che ha trasmesso valori, che ha fatto della semplicità e umiltà, nell’accezione più bella del termine, una scelta di vita. Ha giocato 706 partite segnando 323 gol. È stato l'ultimo attaccante italiano a ricevere il prestigioso Pallone d’Oro, 1993. E per quattro anni ha fatto sognare i tifosi del Brescia: 95 presenze in maglia biancazzurra, 45 gol, tre salvezze in serie A, per un campione che nemmeno il più ottimista dei tifosi avrebbe mai immaginato di vedere con la casacca delle rondinelle.

Oggi per le nuove generazioni che, forse, lo conoscono poco, per tutti coloro che lo hanno amato e apprezzato in campo, per chi vuole entusiasmarsi (perché chi sente emozioni come Baggio può anche sbagliare un calcio di rigore come nel Mondiale del ’94, ma ha un’anima bella, mentre chi non ha anima si perde tutte le emozioni della vita), da mercoledì 26 maggio su Netflix arriva il film «Il Divin Codino» di Letizia Lamartire, con Andrea Arcangeli (nel ruolo di Baggio), Valentina Bellè (la moglie Andreina), Andrea Pennacchi (Florindo, il suo papà) e Martufello nel ruolo di Carlo Mazzone, con il quale all’ombra del Cidneo ha disegnato tre anni indimenticabili, che peraltro sono raccontati anche con dovizia nel prodotto targato Netflix.

Il fuoriclasse timido dal sorriso tenero con il Brescia ha avuto un rapporto speciale. Il presidente Gino Corioni gli ha voluto bene come a un figlio, i tifosi biancazzurri gli hanno dimostrato affetto, da lui ricambiato con gioia.

Roberto Baggio, proprio in campo con il Brescia, che giocava contro il Milan, il 16 maggio del 2004 lei ha dato l’addio al pallone con tutto lo stadio di San Siro in piedi ad applaudirla. Tra gli altri Mazzone aveva gli occhi lucidi...

«Con Carlo Mazzone ho avuto un rapporto speciale - sottolinea - una persona meravigliosa che nel calcio sarà difficile da rivedere».

Girato in gran parte in Trentino, il film celebra l’uomo oltre il mito e racconta il lato più intimo di Baggio, partendo dal suo sogno di bimbo di battere un giorno il Brasile. Con l’ausilio del flashback, gli autori portano in scena una carriera lunga 22 anni, che attraverso gravi infortuni di gioco, il rapporto con i tifosi, le incomprensioni con alcuni allenatori fa luce sul legame con la famiglia, con il papà: uomo severo ma fondamentale nel suo percorso. Lei oggi vive senza pallone e ama la vita tranquilla di campagna.

«La cosa più bella per me adesso è che sono a contatto con la natura. Sono sempre stato un uomo semplice, schivo e riservato». Cosa vorrebbe che il pubblico capisse con questo film? «Le difficoltà che possono incidere nella vita, che non dobbiamo arrenderci ma impegnarci, dare tutto, non avere rimpianti e amare i genitori. Nel film c’è molto del rapporto con mio padre, che da ragazzo non capivo perché era diventato quasi un "nemico": era così rigido nell’educazione che però è stata la base che mi ha dato la possibilità di non arrendermi mai, di andare sempre oltre. Per cui ho un’enorme gratitudine nei suoi confronti. Mi auguro che tutti coloro che hanno avuto relazioni un po’ complicate con i propri genitori capiscano che quando non ci sono più mancano. Le parole, spesso, non dette pesano».

Nel calcio odierno c’è qualcosa che le fa venire il desiderio di tornare in campo?

«Farei qualunque cosa per tornare a giocare. Il problema è che le ginocchia non mi seguono più e questo sogno lo devo abbandonare, purtroppo».

Vede in giro una sorta di suo erede, qualcuno che assomigli a lei sul campo?

«Credo che sia antipatico fare dei paragoni. Ai miei tempi li facevano spesso con me e non va bene: penso che ogni persona abbia le sue qualità, le quali sono differenti dalle altre. Oggi ci sono degli ottimi calciatori che hanno solo bisogno di aver la fiducia per tirare fuori il proprio talento, nel calcio come d’altronde in tutti i settori della vita».

Nei momenti chiave della sua carriera, ci sono stati degli infortuni, alcuni anche molto gravi, uno pure a Brescia: come spiega questa forza che è sembrato quasi remarle contro?

«Purtroppo quando mi avvicinavo al risultato finale, in particolare nell’ultima fase del percorso (quindi a Brescia dove si infortunò al ginocchio, con un recupero lampo che comunque non gli valse la convocazione al Mondiale 2002, ndr) diventava difficile. È un po’ il mio Karma: mi ritrovo sempre a combattere ogni volta che mi approccio a qualcosa che desidero. All’inizio mi pesava molto, non avevo l’"arma" per combattere, poi ho incontrato la pratica del buddhismo e mi ha aperto un altro mondo. Oggi so che devo lottare».

Cosa l’ha convinta ad accettare che girassero un film più che sul mito Baggio sull’uomo che è sempre stato?

«Per come la vedo io, provavo vergogna. Non ritenevo che potesse interessare ad alcuno la mia storia. È stato il mio manager Vittorio Petrone a convincermi. Poi mi sono fatto trasportare e per quello che ho vissuto fino adesso penso alla fine che ne valesse la pena. È stata veramente una bella esperienza dove sia mia moglie che io abbiamo cercato di dare un supporto, raccontando in maniera semplice quella che è stata la nostra vita».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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