Gli studenti del Gigli di Rovato: «Noi restiamo a scuola»

«Noi restiamo a scuola». Quattro parole per un grido d’allarme. Quello che arriva da studenti e docenti dell’istituto d’istruzione superiore «Lorenzo Gigli» di Rovato. Anche nella scuola secondaria della capitale della Franciacorta, che ospita poco meno di 1.300 studenti tra indirizzi liceali e istruzione professionale, da lunedì è entrata in vigore la didattica a distanza, come disposto dall’ordinanza regionale firmata dal presidente della Lombardia, Attilio Fontana.
Il dirigente scolastico. «A malincuore - spiega il dirigente scolastico del Gigli, Davide Uboldi - abbiamo deciso di seguire l’indicazione di portare la Dad al 100 per cento», mandando così in soffitta l’articolata organizzazione che avevamo messo a punto nelle settimane precedenti, e che aveva consentito di non avere nemmeno un contagio in oltre un mese di lezione. Prima - continua il preside - con la didattica in presenza per tutti gli alunni, tra ingressi scaglionati ogni sette minuti e una decina di entrate differenziate; e successivamente, con la modalità della semi-classe, metà studenti in presenza e metà connessi via web per seguire le lezioni.
Ora, però, è arrivato lo stop per tutti. Che agli studenti non è andato giù, tanto da prendere carta e penna per esprimere «l’indignazione provata nei confronti della percezione della poca considerazione nutrita, ancora una volta, da parte dei governanti nei confronti della scuola italiana. Sin da marzo - scrivono i ragazzi - c’è stato tempo per progettare ed attuare le procedure necessarie al previsto ritorno nelle nostre aule in sicurezza, ma non è stato fatto. Ci si è arresi a confinare gli studenti a casa e, in maniera surreale, a relegare i docenti in classi vuote a far lezione davanti ad un dispositivo informatico».
Il tam tam del Gigli spiega che le prime a mobilitarsi sono state alcune classi dell’istruzione professionale, assieme ai loro docenti. La «portavoce» è una di loro, Marina Staccioli: «Da marzo scorso, giocoforza, comunichiamo con i ragazzi anche attraverso i mezzi informatici e le chat. Dopo lo stop alla didattica, in molti hanno espresso la loro totale contrarietà. È una generazione fragile, che ha bisogno come il pane della scuola e di costruire relazioni».
Dal botta e risposta su WhatsApp è nata l’idea di mettere nero su bianco la propria rabbia, come spiega uno dei ragazzi dell’istituto di Rovato, che abita nella capitale della Franciacorta: «Ci sentiamo trascurati. Non so come altro dirlo. Sono mesi che, come giovani, ci danno degli untori. E adesso, con il virus che torna a farsi sentire, i primi a pagare siamo sempre noi: sport, socialità, scuola».
Il dito, gli studenti, lo puntano su quello che accade fuori dalle aule: «Quando entriamo dentro l’istituto - spiega una studentessa che abita in un paese limitrofo a Rovato - ci sentiamo sicuri. Poi usciamo e ci troviamo di fronte ad autobus strapieni. La colpa è della scuola o di chi non ha predisposto più posti o più mezzi?».
Su questo batte il comunicato di alunni e docenti, che ribadiscono spiegazioni su «quanto andava fatto prima. Cosa? Semplice: incremento del numero dei mezzi di trasporto e delle conseguenti corse nelle ore di maggior sovraffollamento di studenti; potenziamento dell’organico del personale docente e non docente e lo sdoppiamento delle cosiddette classi pollaio». Domande chiare e dirette, a cui però, per il momento, mancano risposte esaurienti.
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