Scuola

«Chiamata diretta» addio, che cosa cambia per chi insegna?

Origine, evoluzione e scomparsa di una procedura nata con il Governo Renzi per promuovere la meritocrazia
SCUOLA, STOP ALLA CHIAMATA DIRETTA
AA

Addio alla «chiamata diretta», tra le più contestate innovazioni della Buona Scuola. La decisione arriva dopo l'accordo tra il Miur e le principali organizzazioni sindacali di categoria.

Cosa cambierà per chi lavora o per chi è in procinto di farlo, in un ambito, quello scolastico, che ha visto negli ultimi anni le normative divenire sempre più complesse? 

Con tutta probabilità i prossimi incontri al ministero dovranno definire nel dettaglio tutte le conseguenze dell'abolizione. Al momento è solo la «chiamata diretta» (più precisamente la «chiamata per competenze») ad essere annullata.

Quindi tutti gli spostamenti da una scuola all'altra si baseranno - salvo ulteriori novità - solo secondo il punteggio di mobilità dato dai titoli e dall'anzianità di servizio. Proprio come avveniva prima della riforma. Restano, dunque, in atto tutte le altre norme previste dalla Buona Scuola compresa, per i docenti non titolari su una scuola, la titolarità su un ambito territoriale (ovvero un insieme di scuole distribuite su un territorio omogeneo). 

Il docente già titolare su una specifica scuola o che, tramite la mobilità straordinaria concessa dalla precedente ministra Fedeli, ottiene la titolarità in un istituto, rimarrà nello stesso, a meno che non chieda il trasferimento. 

Per i docenti titolari su ambito territoriale permane un incarico triennale, eventualmente rinnovabile, in un determinato istituto. Per i docenti già di ruolo provenienti dalle operazioni di mobilità e titolari di ambito sono previste diverse fasi per la gestione dei posti disponibili.

La precedenza va al personale che ne ha diritto (secondo l'art. 13 del Contratto Nazionale sulla Mobilità). Per la copertura dei posti residui, i candidati dovranno presentare domanda su POLIS dal 28 giugno.
Seguirà la procedura per l'assegnazione della sede d'incarico e dell'ambito di titolarità per il personale neo immesso in ruolo, con precedenza ai vincitori del concorso ordinario rispetto ai docenti provenienti dalle graduatorie ad esaurimento. 
La riforma della Buona Scuola, la legge 107 del 2015 nata su iniziativa del governo Renzi e del ministro della pubblica istruzione Giannini contemplava, tra le altre novità, un aumento dei poteri e delle responsabilità del preside nella gestione degli istituti, e l'introduzione di sistemi per la valutazione del personale docente.

La «chiamata diretta» prevedeva la possibilità, da parte della dirigenza scolastica, di selezionare i docenti assegnati all'ambito territoriale di competenza in base alle esigenze dell'istituto, scavalcando l'assegnazione gestita dagli uffici scolastici in base al punteggio di mobilità.
Una dinamica che fin da subito non riscosso apprezzamento unanime dal corpo docente. La procedura, dalla storia travagliata e confusa, è stata applicata per solo due anni, rivelandosi un mezzo flop. 

Non sono mancate, data l'ampia discrezionalità lasciata ai presidi nelle analisi dei curricula e nei colloqui, segnalazioni di abusi e discriminazioni fin dalla prima applicazione della norma nell'estate del 2016. Quella che fu ribattezzata «chiamata diretta selvaggia», priva di diritti e tutele, ha subito l'anno successivo, una prima ritoccata, alleggerendo il potere decisionale dei presidi. Tocca al collegio docenti decidere titoli ed esperienze professionali, tra quelli indicati dal Miur, utili per i posti disponibili. Compito della dirigenza scolastica comparare i curricula per individuare il docente che meglio si adatta - per esperienze e competenze - alle esigenze indicate dall'istituto. 

Nell'estate del 2017 il 50% dei presidi (Fonte: Orizzonte scuola, ndr) decisero di non avvalersi della «chiamata diretta», contestando sia le tempistiche - la chiamata andava effettuata ad agosto - che l'efficacia. Molti insegnanti, infatti, si sono avvalsi dell'assegnazione provvisoria per spostarsi in altre scuole e contrastare la cosiddetta «deportazione dei docenti».

A patire dei tira e molla burocratici gli studenti: in alcuni casi l'insegnante ha preso servizio solo a novembre, a primo quadrimestre inoltrato.

Per l'altra metà dei presidi la chiamata diretta sarebbe stata un'opportunità se ripensata con modalità di maggiore efficienza.

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Condividi l'articolo

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato