«Nuovi» anziani, nel libro di Renzo Rozzini «il canone della longevità»

Non ci sono più gli anziani di una volta. Sembra un luogo comune, ma non lo è: gli ottantenni di quarant’anni fa nella maggior parte dei casi «avevano la licenza elementare, erano sopravvissuti all’epidemia spagnola», «avevano vissuto in case povere e senza riscaldamento, avevano conosciuto la fame e la mortalità infantile. Si consideravano pertanto sopravvissuti». Gli ottantenni di oggi, invece, sono «persone che, mediamente, hanno vissuto la maggior parte della vita in condizioni abitative e di lavoro adeguate, si sono nutrite con abbondanza, hanno avuto la possibilità di scolarizzarsi, hanno goduto di una sufficiente protezione sociale» e, tra le altre cose, «hanno potuto disporre di molto tempo libero». A spiegarlo è Renzo Rozzini, direttore clinico UOC-Privati, programma «Salute, Benessere, Longevità», nel libro «Il canone della longevità» (Morcelliana Scholé) presentato ieri nell’affollata Sala Libretti del Giornale di Brescia.
Cambiamenti
Questo cambiamento – messo nero su bianco dall’autore – impone nuovi linguaggi che superino «la nebulosa» che ancora avvolge l’approccio all’età avanzata e soprattutto nuove risposte. Ne è consapevole anche il prof. Alessandro Padovani, direttore del Dipartimento di Continuità di cura e fragilità degli Spedali Civili e docente di UniBs, intervenuto all’incontro moderato dalla nostra direttrice Nunzia Vallini insieme a Francesca Bazoli, presidente dell’Editrice Morcelliana.
«Al medico – osserva il prof. Padovani – si chiede di essere medico e non solo medico, ossia elemento di relazione capace di dare cura alla persona». Andare, quindi, oltre il tecnicismo per esplorare anche la dimensione sociale. Questa necessità suscita tanti interrogativi: l’Università prepara a tanto? Il Servizio sanitario è pronto? L’Italia è un Paese per vecchi? Interrogativi che generano altri interrogativi: «Esiste una medicina dell’anziano sano – si chiede il prof. Padovani –? Si fa abbastanza prevenzione? Parlo di screening, vaccinazioni, diagnosi precoce. In tutti questi campi c’è bisogno di fare di più».
Linguaggio
Il punto di partenza può essere il linguaggio, il «canone», appunto: «Il termine "fragilità" ha un significato preciso – spiega Rozzini anticipando i contenuti del libro –, così come i concetti di "vulnerabilità sociale", "disabilità" e "comorbidità"». Sempre in un’ottica di chiarezza «si potrebbe partire inserendo nelle cartelle cliniche dei pazienti informazioni come: è in grado di alzarsi da solo dal letto e quindi è autosufficiente e riesce ad assumere farmaci da solo quindi non soffre di demenza».
Lo sforzo in più viene richiesto agli ospedali, così come ai medici di famiglia e ai Comuni che «dovrebbero creare l’Anagrafe della fragilità – sostiene –, strumento che potrebbe aiutarci a dare risposte mirate, ad esempio in caso di pandemia». «Ci stiamo lavorando con la Asst», è stata la risposta, dal pubblico, dell’assessore Marco Fenaroli. «Dobbiamo conoscere la persona fragile, ma anche la persona che potrebbe diventarlo», aggiunge il prof. Padovani pensando a 350mila bresciani over 65: «La politica deve trovare soluzioni. Immagino parchi per anziani attivi, centri di aggregazione per persone attive. Non ghetti, s’intenda: spazi in cui la comunità recuperi ciò che la persona anziana può ancora dare».
Il libro
Il libro – che fa riferimento anche ad articoli già pubblicati dall’autore sul GdB – è uno strumento per esplorare e comprendere la terza età. Chi sono i destinatari? «Tutti – precisa la presidente Bazoli –. Tutti abbiamo a che fare con gli anziani e tutti stiamo diventando anziani. Rozzini, a tal proposito, non offre solo tecnicalità, ma si sofferma anche su aspetti di tipo psicologico». Per aiutarci a capire chi sono i «nuovi» anziani e di cosa hanno davvero bisogno.
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