«Cari genitori», la tragedia di Martina ci interroga tutti

Dopo il femminicio della 14enne ad Afragola, serve fermarsi a riflettere. I ragazzi crescono in fretta e spesso in solitudine. Serve più ascolto, attenzione e un’educazione emotiva reale
«Cari genitori», cosa ci insegna la storia di Martina
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Ogni mercoledì la rubrica «Cari genitori», curata da Giuseppe Pino Maiolo, propone pillole di riflessione educativa, che potranno partire da una notizia di attualità.

L’ennesimo femminicidio di Afragola in cui un 18enne ha assassinato la sua fidanzatina di 14 anni, ci lascia sgomenti. Soprattutto è l’età di Martina, quasi una bambina e come al solito il fatto che nessuno si è accorto di quello che stava accadendo.

Il luogo in cui è stata trovata senza vita la 14enne - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Il luogo in cui è stata trovata senza vita la 14enne - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it

Si cresce in fretta

Oggi si cresce in fretta, si diventa grandi in un momento, maschi e femmine da un giorno all’altro fanno cose da adulti, si fidanzano ad esempio e a 12/13 anni si promettono sentimenti che sono da scoprire, ma poi si minacciano o abusano e poi uccidono.

Basta un «no» come quello di Martina ad Alessio per scatenare la rabbia e la violenza perché non tollerano il rifiuto, oppure programmano la morte la infliggono o la cercano. Tutto però accade in silenzio, senza il sostegno di chi può aiutarli. Vivono soli, con pochi amici reali affidabili e con meno sguardi di adulti attenti, che invece sono più distratti o in altre faccende affaccendati. Non ci riflettiamo mai abbastanza! Se non dopo le tragedie.

Attenzione ai social

A me in questa tragedia ha colpito la frase della madre del ragazzo che alla mamma di Martina dice di fare attenzione ai social. C’era bisogno? Forse che non sappiamo cosa siano i social? Quanti pettegolezzi e quante verità indicibili circolano? Eppure lì ci siamo anche noi.

I giovani e i giovanissimi, sicuramente ci passano la vita, lasciano lì pensieri, intenzioni e loro angosce. Lasciano le loro orme e, in codice, i segnali del loro star male che non dicono ai grandi e a nessuno. Affollano ormai stabilmente le piazza virtuale che genitori e educatori non conoscono. Questi si accontentano di averli a fianco sott’occhio, sullo stesso divano mentre chattano con una moltitudine di follower ma non si chiedono che fanno o che dicono.

Essere presenti

Cari genitori dovremmo esserci di più. Che non vuol dire, domandare loro come vanno le cose o se hanno problemi, immaginando che a domanda rispondano. I figli hanno imparato a tacere forse perché parliamo troppo noi, mentre invece li dovremmo ascoltare e osservare. Hanno bisogno della nostra attenzione, di riconoscimento e conferme. Si cresce solo così con queste cose.

Hanno bisogno prima delle nostre parole, dei nostri insegnamenti competenti per far sapere loro cosa sono i social, come usano e quali pericoli contengono. È l’educazione che urge in questo tempo complesso e difficile. Prima della repressione e delle punizioni esemplari, devono venire da famiglia e scuola più richieste di prevenzione e più risorse per la salute mentale dei giovani.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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