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Più digitale e più scorte: cosa ci ha insegnato l'emergenza

Quali sono le chiavi per fare la differenza? Ha provato a rispondere la community Asap Service Management Forum
Un magazzino di stoccaggio merci
Un magazzino di stoccaggio merci
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Come stanno reagendo le imprese di fronte a un'emergenza che non ha precedenti nei tempi moderni? Quali sono le chiavi che possono fare la differenza? E ancora: chi e come ha maggiori probabilità di subirne meno i contraccolpi? Domande a cui, con un'indagine che ha coinvolto 180 aziende (per la gran parte produttrici di beni strumentali), ha provato a rispondere Asap Service Management Forum, la community che vede insieme centri di ricerca universitari e imprese.

E se qualche risultato non sorprende molto (soffre di più la vendita di beni, rispetto a quella di servizi), altri sono meno scontati. «Il 66% delle aziende prevede un impatto elevato o molto elevato in termini di riduzione del business di prodotto - illustra Nicola Saccani, che al Dimi (Dipartimento di ingegneria meccanica e industriale) dell'Università di Brescia è docente di Sistemi logistico produttivi e fa parte del Laboratorio Rise (Research & Innovation for Smart Enterprises), -, mentre la percentuale scende al 49% per quello dei servizi associati al prodotto stesso. Per converso il 24% delle aziende ipotizza un impatto limitato o nullo sulla vendita dei servizi, a fronte di un 6% per i prodotti».

Se questo dato era prevedibile, due sono invece le evidenze meno scontate emerse dall'indagine, una più che l'altra. «Possiamo riassumerle con: resilienza e digitalizzazione - spiega Federico Adrodegari, ricercatore del Rise (direttore scientifico è Marco Perona) e coordinatore nazionale di Asap -. Chi si è già dotato di servizi avanzati (monitoraggio remoto, manutenzione predittiva, servizi basati sui dati) denuncia impatti minori sul proprio business, ma tutti, che abbiano investito in modo più o meno consistente sul 4.0, dichiarano di voler proseguire su questa strada».

Dunque l'emergenza Covid apre ancora più il cammino alla digitalizzazione, che in questo periodo appare come uno strumento formidabile. «Le aziende hanno per la maggior parte dichiarato, alcune volte anche con una certa sorpresa - prosegue Saccani -, come sia stato molto più semplice del previsto traghettare le proprie attività di desk dagli uffici alle case. Non possiamo però definire tout court questa modalità di lavoro smart working, si tratta in realtà per la grandissima parte di remote working, una differenza che non è solo semantica».

Centralizzare? Pensiamoci. Nella nuova normalità occorrerà perciò immaginare infrastrutture telematiche dedicate, progettazioni condivise e ottimizzate. C'è un'altra evidenza, poi, legata alla supply chain: centralizzare tutto in un'unica sede, dalle risorse umane alla componentistica, ha dimostrato in queste settimane un grosso limite. Se si blocca il centro, se i trasporti sono inibiti, se le persone non possono più muoversi, tutto il sistema si ferma. «L'esigenza di ridurre i costi - conferma Saccani - deve essere coniugata con quella di riuscire a garantire servizi, perchè la supply chain sia più resiliente occorre mitigare il rischio di rimanere tagliati fuori. Probabilmente sarà necessario ripensare alla catena di distribuzione immaginando di avere filiere più presenti sui territori oltre ad avere più scorte». Infine le aziende sembra abbiano capito che occorre superare un altro grande ostacolo: i dati sono importanti ma se li teniamo sigillati dentro al nostro server non fanno avanzare nessuno.

 

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