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Faggin: «Una macchina sarà sempre e solo una macchina»

Federico Faggin, il papà del computer: «La consapevolezza e l'etica salveranno il mondo»
Federico Faggin è stato a Brescia nelle scorse settimane all’Olivetti Day - © www.giornaledibrescia.it
Federico Faggin è stato a Brescia nelle scorse settimane all’Olivetti Day - © www.giornaledibrescia.it
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Esiste un mondo prima di Federico Faggin. Ed esiste un mondo dopo Federico Faggin: quello del digitale. Questo passerà alla storia come il tempo del fisico vicentino che ha radicalmente trasformato il nostro modo non solo di lavorare, ma di pensare e di interagire. Di vivere.

Almeno, ne è convinto Gianfausto Ferrari, l'imprenditore seriale co-fondatore di Talent Garden e presidente del Superpartes Innovation Campus, che ha organizzato l'Olivetti Day dello scorso 11 ottobre. E a cui Federico Faggin ha partecipato come ospite d'onore direttamente dalla Silicon Valley. Ferrari l'ha chiamata «chiamata» chiacchierata. La riproponiamo qui, per ampi stralci, riprendendo le domande dell'incontro, un po' immaginandone alcune e un po' riportandone altre che gli abbiamo effettivamente rivolto, al volo, a incontro finito. Il motivo? Perché per tutti quello che lo hanno ascoltato è stata un'occasione unica. Di ascoltare le esperienze di un uomo che davvero ha rivoluzionato il mondo della tecnologia, ma soprattutto che oggi si pone con forza e passione quegli interrogativi con cui tutti dovremo fare i conti nei prossimi decenni. (Parentesi: l’intervento integrale sul sito dell’Olivetti Day).

Federico Faggin, prendiamola alla larga e partiamo da un tema grosso: cosa ne pensa dell'intelligenza artificiale?
L'intelligenza artificiale è partita negli anni Cinquanta con grandi promesse che sono state mantenute fondamentalmente solo 5 anni fa. La vera chiave di volta sono state le reti neurali. Quando nel 1986 ho fondato la Synaptics, una società per creare dei computer cognitivi, volevo riuscire a usare la tecnologia analogica per imitare le reti neurali del cervello. Ma ho capito in fretta che sarebbero serviti ancora 20 anni prima di realizzare la mia idea. E ho mollato. Da qui però è nato il touch screen. E oggi la Synaptics fattura due miliardi di dollari all'anno.

Oggi qual è il maggiore progresso fatto con la I.A.?
Senz'altro la guida automatica. È proprio l'applicazione primaria per questa tecnologia. Nella Silicon Valley, pensate, tutti quanti investono un miliardo di dollari all'anno nella ricerca e nello sviluppo per l'autopilot. Anche se siamo ancora all'inizio…

Perché all'inizio?
Ci sono già molti modelli, basta vedere la Tesla… Ma scappano ancora i morti. C’è ancora qualcosa da completare. E ci vorranno ancora 15 anni prima di capire come risolvere quelli che chiamano i casi rari. Quando succederà sarà una rivoluzione, non solo negli Usa, dove l'industria dei trasporti rappresenta il 20% del Pil, ma ovunque. E quando succederà, succederà di colpo, come con la macchina foto: per anni si è andati avanti a ripetere la promessa dell'avvento del digitale e non arrivava mai. Poi di colpo, bum!, nel giro di cinque anni abbiamo buttato via i rullini. È come un esponenziale: quando raggiunge l'apice, schizza via.

Parlava prima di cervello, e qui siamo sul confine sottile fra sistemi viventi e macchine. Qual è la differenza fra un robot e un animale?
Semplice: l'animale mangia, il robot no. Circola l'idea, soprattutto negli Stati Uniti e in Giappone, che sarà possibile inventare delle macchine consapevoli. Come se la consapevolezza fosse la proprietà di una macchina…

E invece?
E invece c'è una differenza abissale. Che viene sottovalutata costantemente. Prendiamo una cellula vivente e un chip: la prima è un sistema aperto, che scambia informazioni con l'esterno, che si modifica, il secondo resta sempre quello, perché l'informazione che porta è astratta ed è inserita da noi.

Quindi se dovesse provare a definire la vita in termini fisici, direbbe…?
Che la vita è un computer quantico di natura sconosciuta. È come una sistema a due facce, una interna e una esterna. Dentro stanno i significati, fuori i simboli. In un computer, invece, dentro c'è solo il vuoto, perché è fatto solo di simboli astratti. Mentre nella comunicazione interpersonale ognuno ha i propri simboli per comunicare i propri significati. Ma è il significato quello che conta, e che la macchina non possiede.

Ci avviciniamo a quella che ha definito una volta la sua quarta vita: il mondo interiore, la consapevolezza. Come è partito tutto?
La mia ricerca intorno alla consapevolezza umana è nata come un'infatuazione. Ora, dopo trent'anni, è la mia occupazione principale. Ho iniziato a pensarci quando studiavo neuroscienza e biologia per emulare il cervello con i circuiti elettrici. E lì mi sono scontrato con il primo ostacolo: nessuno parlava di consapevolezza, di come facciamo, in sostanza, a essere coscienti di noi stessi. Come faceva a emergere dai segnali biochimici?

Lo ha scoperto?
No. Perché è impossibile. La fisica descrive un mondo senza significati, fatto solo di simboli astratti. I significati invece sono in noi e sono irriducibili. La consapevolezza è la capacità di comprendere un'informazione viva, che ha dei significati. È conoscere noi stessi. Le due cose non hanno punti di contatto. La vita è diversa dal computer. E una macchina sarà sempre solo una macchina.

Parlando di macchine, secondo lei qual è la più straordinaria inventata finora?
Senza dubbio la chiavetta usb da 256 giga. Contiene un chip con 1000 miliardi di transistor posti l'uno sopra l'altro in 32 strati senza contatti fra loro, grazie a una tecnologia avanzatissima. È una cosa pazzesca. Negli anni Ottanta per ottenere quella capacità di memoria avremmo dovuto riempire di macchinari tre stanze grandi come quella in cui ci troviamo oggi.

Di cosa non si parla abbastanza invece nel mondo dell'innovazione?
Del fatto che l'intelligenza artificiale ci costringe oggi ad affrontare tematiche che fino a poco tempo fa erano prerogativa solo della filosofia, come la consapevolezza. È ora che le studiamo anche noi. Siamo come i robot? Questo ci induce a chiederci la scienza.

E lei che risposta dà?
Che non è vero. Ma bisogna provarlo. Che senso avrebbe la vita senza la vita interiore? Senza gioia o dolore? La macchina non prova nulla. L'intelligenza artificiale per me è importante alla fine perché ci costringe a guardarci allo specchio.

Fisico, biologo, ingegnere con 7 lauree honoris causa e ormai anche filosofo. È consapevole di aver cambiato il mondo?
Nessuno cambia il mondo da solo e allo stesso tempo una persona può fare la differenza. Serve passione e la determinazione a far funzionare le cose. Se non l'avessi fatto io, l'avrebbe fatto qualcun altro.

Troppo modesto…
Davvero. Il mio contributo più importante è stato inventare la Silicon Gate Technology, che ha soppiantato la tecnologia bipolare e nel 1970 mi ha portato al microprocessore. Era nell'aria però. Diciamo che sono arrivato primo in una gara perché avevo la macchina più veloce. Però avevo anche progettato quella macchina.

Prima di finire: qual è il limite invalicabile nell'innovazione secondo lei?
Il nostro pregiudizio. Ma ha messo davanti molti fattori etici. Sì. Perché il progresso è una cosa straordinaria e ne vedremo delle belle. Il futuro però è in mano ai sistemi biologici. Ed è la genetica il grande pericolo. Le biotecnologie arriveranno a riprodurre un essere umano fatto e finito. Questo è il rischio, la grande porcheria. Che antidoti abbiamo? Studiare filosofia. E l'etica. È l'unica chance che abbiamo per poterci difendere.

 

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