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Dabrazzi Packaging, dalle shopper griffate alla mascherine

Venti milioni di ricavi e leader nel packaging di alta gamma. Adesso la nuova sfida Health
Da destra Alberto Bertolotti (IBS), con Antonio Dabrazzi, Alberto Turano e Andrea Coscarella
Da destra Alberto Bertolotti (IBS), con Antonio Dabrazzi, Alberto Turano e Andrea Coscarella
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Sì, c’è chi ci crede. C’è chi continua a credere che il mondo non finirà con il Covid e che anzi - al netto dei dolori delle persone e dei problemi per le aziende - si possa pensare anche a qualche opportunità che il Mondo presenterà. Il virus ci ha colti impreparati, cosa che non deve più accadere (se mai ci si ricascherà). Ma bisogna prepararsi. E qui, a Roncadelle, è quel che stanno facendo.

È l’evoluzione più recente della Dabrazzi Packaging, azienda che opera nella ideazione e produzione di packaging, per l’appunto, ovvero e in particolare, di borse e scatole per prodotti tendenzialmente di alta gamma, altissima. Il gruppo Kering, Luxottica, Dolce & Gabbana, per citare alcuni marchi. E quindi va da sè che il cliente che esce da un negozio D&G debba avere in mano una shopper (di carta) adeguata alla borsa (in pelle) che ha appena acquistato. Moltiplicate queste esempio per tanti marchi del mondo e capite come si arrivi ai 40-50 milioni di pezzi che ogni anno Dabrazzi Packaging realizza e vende per un fatturato che si aggira (fra Italia e Cina) sui 20 milioni.

Adesso, in questi mesi, c’è una novità. La Dabrazzi non sarà solo packaging ma anche Health, ovvero salute-igiene. È la nuova Divisione della famiglia - racconta Antonio Dabrazzi che con la sorella Camilla e la madre Luisa guida il gruppo. Un’idea, una intuizione nata sul finire dello scorso anno in Cina, Paese che Dabrazzi ben conosce visto che dal 2008, a Guangzhou, l’azienda bresciana ha un punto operativo che si è aggiunto alla sede di Hong Kong aperta due anni prima. E l’idea è stata a suo modo semplice.

Il Covid ancora non era esploso, neppure laggiù, ma l’uso della mascherina era comunque piuttosto diffuso in funzione essenzialmente di anti-inquinante. Perché non fare mascherine (questa l’idea) griffate?, si è chiesto Antonio Dabrazzi. Carta, cotone, Tnt erano materiali che la Dabrazzi già usava per le sue produzioni. Tempo di avere l’idea, di stendere i primi progetti che è scoppiato quel che sappiamo. E però, grazie alla presenza in Cina e ai rapporti già avviati, i Dabrazzi riescono a importare le più classiche mascherine antivirus e maturano l’idea - per arrivare all’oggi - di produrle queste mascherine.

Meglio ancora: di avviare, come detto, una nuova Divisione, la Dabrazzi Health la cui sede si sta ultimando accanto alla Packaging. Gli spazi non mancano. La Dabrazzi (che occupa una trentina di addetti) nel 2016 ha acquistato i 15 mila e oltre metri quadri coperti nella zona della Mandolossa, in un immobile che ospitava la logistica Mondadori. E qui si è ultimato un investimento di circa 500 mila euro sistemando locali (con norme igieniche stringenti) e installando una macchina che produrrà circa 50 mila mascherine Ffp2 al giorno. Entro fine mese è atteso il via libera alle certificazioni. E quindi si partirà con questa prima linea ma è già predisposto lo spazio per una eventuale seconda linea. Per ora l’investimento è stato sostenuto dalla famiglia. L’attesa - commenta Antonio Dabrazzi - è che arrivi anche il sostegno dello Stato. Una procedura seguita dalla IBS di Alberto Bertolotti.

 

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