La bici: una spìciola per andar spediti

Una spiegazione spiccia non c’è, o almeno io non l’ho trovata. Ma dovrò ben affrettarmi a provarci: lo devo all’amico biciclettomane, che mi sfida da tempo. La domanda è questa: perché mai per il gergo dialettale dei nostri nonni (ma anche di quelli milanesi, ad esempio) la spìciola è la bicicletta? A dire il vero una strada forse l’ho trovata, ma ammetto che è tortuosa come il Galibier. E in realtà anche la mia porta in Francia. Ho infatti nelle orecchie mia zia (francese almeno da sessant’anni) rimbrottare una sua figlia: «Dépêche-toi».
Traducibile con sbrìgati, spìcciati. Il verbo francese «se dépêcher», dicono i linguisti, ha un’origine latina: «dispedicare», che significa letteralmente liberarsi i piedi, toglierli dall’im-pedimento (appunto!) che li ha intrappolati. Quindi spicciarsi per andare... s-pedìti. E cosa c’è di più spedito di una spìciola? Sempre se il pedalatore è degno... L’atto dello sveltirsi, nella lingua dei nostri nonni, poteva dirsi desgagiàs (disimpegnarsi, non a caso in francese «pegno» si dice «gage» e un intellettuale impegnato è un «engagé»). Oppure si diceva pesegà (in alcune aree spesegà). «Pesegà a ’ndà», sbrigarsi a partire. Al mio orecchio - ma so di essere malato... - la forma spesegà (che ho visto documentata fin dal ’700) riporta di nuovo a «dispedicare».
Se poi pensiamo che il «pediculus» dei romani è sia il «piede piccolo» sia il «peduncolo» dei frutti (il pécol dei bresciani, il pesòcar dei bagossi), allora tutto vien giù a spiccioli come acini d’uva sgranati dal picciòlo. So che è una strada tortuosa come il Galibier, e neppur certa, ma confesso che a me è piaciuta. Manco fossi un amante della spìciola...
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