Philippe Levéillé: «A noi chef piace raccontarci»

Il cuoco ci spiega come negli anni sia cambiato il mito del cuoco irraggiungibile, soprattutto verso i giovani che vogliono imparare
Philippe Levéillé, chef del ristorante Miramonti l’altro di Concesio - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
Philippe Levéillé, chef del ristorante Miramonti l’altro di Concesio - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
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«Bon, siamo ripartiti forte! Bella gente, piacere ritrovato di condividere la tavola, interesse a capire il piatto, a dialogare con la cucina, un’atmosfera rilassata dove non c’è più la fretta d’un tempo e si può restare a conversare al ristorante fino al tardo pomeriggio o a notte fonda». Una parola in francese per iniziare e poi un fiume in piena d’italiano, segnato qua e là dalla erre ancora arrotata che tradisce l’inconfondibile origine.

Così Philippe Levéillé fotografa il momento felice del suo Miramonti l’altro di Concesio, arrivato da anni grazie a lui alle due stelle Michelin e stabilmente considerato da tutte le guide come il miglior ristorante della nostra provincia. Attento alle mille sfumature non solo del gusto, Philippe sottolinea a più riprese come a suo avviso, archiviato (si spera) il Covid, sia cambiato nel profondo proprio l’atteggiamento delle persone rispetto alla tavola e al ristorante.

«Noi lo notiamo ormai fin dalle prenotazioni - dice -. Non solo gli ospiti chiamano per tempo, anche un mese prima, ma se quel giorno non c’è possibilità di accoglierli, che so il giovedì sera, non rinunciano e ti chiedono solo quando possono venire, lasciano a noi il compito di trovargli posto un altro giorno. Significa che l’obiettivo è proprio venire nella nostra casa, garantirsi due ore serene con noi e la nostra proposta. E questa è una novità di grande significato, lo dico io che sono qui ormai da decenni».

Tanto affetto e tante aspettative che impongono alla cucina di essere sempre all’altezza e di rinnovarsi ad ogni stagione. «Da anni ormai - aggiunge Philippe - accanto ai piatti immancabili che hanno fatto la storia del ristorante, proponiamo un menù con idee sempre nuove che magari divengono poi dei classici che è impossibile togliere dalla carta. Penso ad esempio all’ostrica dell’anno scorso, partita un po’ in sordina e che oggi praticamente ogni tavolo mi chiede d’assaggiare. Tra le novità di quest’anno ho pensato al cubo di caviale, partendo da un cubo di pan brioche, tostato e svuotato, riempito di caviale e coperto da una crema di patate. Ma sta incontrando ampi consensi anche quello che ho chiamato il diaframma alla Rossini, con un taglio di carne poco utilizzato eppur buonissimo, che cuociamo in forno a legna e finiamo al tavolo con una salsa di foie gras, tartufo e sugo di manzo».

Proprio il servizio al tavolo è una modalità che dopo anni di oblio sta tornando in auge nell’alta ristorazione. «Debbo dire che piace molto agli ospiti e da qualche anno ho sempre più piatti che vengono realizzati o finiti da un cuoco davanti al cliente. È un momento straordinario di dialogo tra la cucina e il gourmet, che spesso è realmente interessato alla spiegazione di quanto andiamo facendo. Io inoltre non sono il solo ad uscire, anzi offro l’opportunità ai ragazzi di cucina di vivere quest’esperienza».

Per altri ristoratori si tratta però d’una scelta troppo impegnativa... «Vero, ma è un valore aggiunto e apprezzato - replica Philippe -. Ci vuole una grande organizzazione e una tempistica senza sbavature, in cucina come in sala. Ed è anche qui che pesa l’intervento di mia moglie Daniela, che è un orologio svizzero e fa muovere tutti con un sincronismo perfetto. E poi è l’occasione per avvicinare l’ospite al cuoco e alla cucina durante l’intero servizio. Senza contare l’opportunità di formazione per i giovani».

Elementi che erano anche tra gli obiettivi di Chef per una notte. «Obiettivo colto - conclude il cuoco bretone - perché io credo che quest’iniziativa a Brescia abbia ridotto la distanza tra le cucine di livello e i gourmet appassionati, abbia sfatato definitivamente il mito irreale del cuoco irraggiungibile, della star dei fornelli, o presunta tale, che non parla con nessuno ed è custode di chissà quale segreto. Non è così, siamo (quasi) tutte persone che hanno piacere di parlare del loro lavoro, di condividere le loro competenze, di far crescere una cultura diffusa della cucina di qualità che è patrimonio di tutti».

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