Le 5 cose sul cervello che credete vere, ma sono false

Per quanto ne sappiamo, in fondo è il proprio il cervello ad esserne convinto, è l’oggetto più complesso dell’universo
AA

Il cervello umano occupa in media un volume di 1,4 litri,  consuma un quinto delle nostre calorie, contiene circa ottantasei miliardi di neuroni e può svolgere dieci milioni di miliardi di calcoli al secondo. Per quanto ne sappiamo, in fondo è il proprio il cervello ad esserne convinto, è l’oggetto più complesso dell’universo.

Negli ultimi decenni,  grazie alle ricerche in corso nell’ambito delle neuroscienze, abbiamo ampliato in misura notevole le nostre conoscenze. Ma quel che sappiamo resta ancora insufficiente per rispondere a tutte le domande sul più misterioso dei nostri organi. Non è raro, avventurandosi nell’ambiziosa sfida per la comprensione del cervello, imbattersi in semplificazioni eccessive, o informazioni errate. Molti sono i falsi miti che lo riguardano. Ne presentiamo, senza alcuna pretesa di completezza, e coscienti che in molti casi il dibattito è ancora aperto, alcuni dei più comuni.

 

1. Gli esseri umani usano solo il 10% del loro cervello

Questa è la più diffusa tra le leggende metropolitane sul cervello, perpetrata nella cultura popolare anche grazie al successo di film come Limitess o Lucy.  Non è raro incontrare una frase di Einstein in cui lo scienziato spiega le sue capacità intellettuali grazie al fatto di usare più del dieci per cento normalmente sfruttato. Come la maggior parte delle citazioni attribuite ad Einstein, è un falso.

La falsa credenza risale all’Ottocento, quando le conoscenze relative al funzionamento del sistema nervoso erano ancora decisamente grossolane. Difficile attribuire ad una singola fonte la radice del mito. Tra gli imputati Jean Pierre Flourens, medico di notevole caratura, nonché inventore dell'anestesia. Flourens dimostrò che la coscienza risiede nel cervello e non nel cuore, ma la difficoltà nel comprendere la precisa funzione di molte regioni cerebrali portò ad ipotizzare che fossero non funzionali.

O forse il mito nasce dalla penna di H. W. James, uno dei padri della moderna psicologia, quando affermò che «facciamo uso solo di una piccola parte delle nostre possibili risorse mentali e fisiche». James propose la Teoria della Riserva di Energia, oggi senza più alcun credito, in seguito ad osservazioni condotte sul figlio prodigio del collega Sidis. Grazie ad un percorso di educazione precoce, intensiva ed accelerata il ragazzo avrebbe sviluppato, secondo lo psicologo, risorse normalmente non utilizzate dalle persone comuni. «Il professor William James di Harvard era solito affermare che l'uomo medio sviluppa solo il dieci per cento delle sue capacità mentali latenti» si legge nell’introduzione curata da Lowell Thomas del libro di Dale Carnegie, edito nel 1936, dal titolo «Come trattare gli altri e farseli amici».

Oggi sappiamo che in ogni momento, anche durante il sonno, l’intero cervello è costantemente in funzione. Il mito resta comunque accattivante se lo si considera non in termini di funzionalità, ma di potenzialità. Tramite l’applicazione, tramite l’esercizio delle nostre funzioni cognitive, possiamo certamente acquisire sempre nuove capacità, in ogni campo.

 

2. Cervello sinistro razionale, cervello destro artistico

L’affermazione che le persone possono essere divise in due categorie a seconda di quale dei due emisferi cerebrali sia dominante  è molto diffusa, anche perché riportata da diversi testi pubblicati nei decenni passati. Nella personalità creativa, libera e soggettiva prevarrebbe l’emisfero destro. In personalità analitiche, logiche e oggettive il sinistro.

Sappiamo che le aree di alcune funzioni cognitive di base risiedono più su un lato specifico della corteccia cerebrale rispetto all'altro. L’emisfero sinistro è in misura maggiore implicato nell’elaborazione del linguaggio e nell’analisi di una visione d’insieme delle informazioni. Il destro, invece, processa informazioni visive e spaziali, ed è più interessato ai dettagli. Non esistono prove, però, che la responsabilità dei complessi tratti della personalità risieda in un lato del cervello. Anzi, al contrario, aumentano le prove a favore dell’ipotesi che gli emisferi del cervello lavorino insieme, con la stessa intensità, e si completino a vicenda.

La distinzione tra cervello sinistro e cervello destro al momento rimane più una figura retorica che una descrizione anatomicamente accurata.

 

3. Dopo i 40 (o 20, o 60) anni il cervello declina

No, per fortuna, almeno in assenza di patologie.

Non si può negare che alcune funzioni cerebrali peggiorino con l’età, ma non sempre e non tutte. Vero che l’infanzia e l’adolescenza sono le età con maggiore plasticità per il cervello e più efficacia nell’apprendimento di nuove facoltà. Alcune, come il linguaggio e il pensiero astratto, se non acquisite in giovane età non possono più essere competentemente apprese da adulti. Lo dimostrano diversi studi sui feral children, i bambini selvaggi, sin dall’infanzia cresciuti in natura solo in compagnia di animali selvatici, o in isolamento segregati in casa.

Ma molte facoltà mentali migliorano con l’età e l’esperienza, soprattutto se si opera in ambienti stimolanti, che tengono allenato il nostro cervello. Importante anche l’attività fisica, difatti è dimostrato che l’esercizio costante di mente e corpo rallenta l’insorgere delle malattie neurodegenerative. Non bisogna smettere mai di mettere alla prova il proprio cervello.

4. Maschi e femmine hanno un cervello diverso

Molte teorie in passato hanno cercato di mettere in luce supposte fondamentali differenze tra il cervello degli uomini e quello delle donne, per giustificare presunte incapacità femminili a svolgere certi lavori, per esempio occuparsi di scienza. Vengono oggi ricordate tra le più scadenti e parziali mai concepite.

Le teorie recentemente proposte a sostegno della tesi sono un po' più sofisticate e appaiono, almeno ad una prima analisi, più credibili: il cervello maschile presenterebbe più aree per svolgere attività che richiedono specializzazione, mentre quello femminile è dotato di circuiti emotivi più elaborati. Se così fosse le donne dovrebbero superare gli uomini nei test che misurano il grado di empatia, ovvero la capacità di comprendere le emozioni altrui. Lo fanno, ma il risultato si inverte se ai soggetti è stato precedentemente comunicato che in quel test sono gli uomini ad essere i più bravi. Lo stesso schema vale al contrario per le prove del ragionamento spaziale, abilità in cui ci si aspetta dagli uomini maggiore competenza.

Stereotipi, cultura ed educazione sembrano essere molto più importanti della fisiologia. Le differenze di sesso nella cognizione sono probabilmente state esagerate, nessuna ricerca ha dimostrato ampie e significative differenze nel modo in cui le reti di neuroni elaborano le informazioni tra diversi generi.

 

5. Mente e cervello sono entità separate

Nel pensiero filosofico e scientifico, grande rilevanza e controversia ha assunto la questione mente-cervello.

Nel corso della storia della filosofia occidentale forte è stato l’impatto della concezione dualistica e metafisica di matrice platonica e cartesiana, per cui ad un cervello materiale si contrappone una mente immateriale. La maggior parte dei ricercatori in ambito neurocognitivo parte invece dal presupposto che tutto è creato da e nel cervello. Mente, coscienza, conoscenza, memoria ed altre caratteristiche dell’Io sono eventi frutto dell’attività della rete neurale. Il dibattito tra i sostenitori delle differenti concezioni è a tratti feroce ma, quando prevale la volontà di dialogo al di là dei pregiudizi e delle posizioni accademiche, proficuo.

Secondo i neuroscienziati che mente e cervello non siano enti separati lo si può osservare, ad esempio, nel caso di gravi danni causati da traumi o malattie. L’alterazione della funzionalità di determinate parti del cervello conduce a cambiamenti importanti della funzionalità mentale. Sappiamo ad esempio che malattie neurodegenerative come l’Alzheimer provocano progressiva perdita di memorie e identità, o che l’anestesia spegne l’attività cosciente. «Lo strano caso di Phineas Gage», uno degli studi più famosi nella storia delle neuroscienze, riguarda uno sfortunato lavoratore americano la cui regione frontale del cervello fu trapassata, nel 1848, da una sbarra di ferro. Sopravvisse, ma con una personalità fortemente alterata nelle capacità di giudizio e nel comportamento morale.

Solo da pochi decenni le neuroscienze cognitive hanno cominciato ad indagare i processi alla base della coscienza, della creatività artistica, del libero arbitrio. Temi complessi, spesso di non chiara definizione, ma che interessano non poco il lettore attento, se si osserva di quanto la sezione neuroscienze negli scaffali delle librerie diventi sempre più ampia (non sempre purtroppo con testi scientificamente attendibili). Ovviamente non aspettiamoci risposte rapide e semplici a problemi così complessi.

Grandi speranze, e capitali, si investono per la ricerca sul cervello. Obiettivo: decifrare l’intricato circuito neurale per comprenderne in modo quanto più completo possibile il funzionamento. Sarà necessario anche per ottenere migliori terapie contro le patologie cerebrali. Miti e leggende metropolitane a parte, la ricerca continua.

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia