Meloni: «Bene l’accordo, ora tocca alle esenzioni»

La Redazione Web
La partita sui dazi per il governo non è affatto conclusa: serve continuare a lottare per salvaguardare il più possibile gli interessi dell'Italia
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni - Foto Ansa/Filippo Attili © www.giornaledibrescia.it
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni - Foto Ansa/Filippo Attili © www.giornaledibrescia.it
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Bene l'intesa, per il solo fatto che ci sia stata e abbia scongiurato gli effetti potenzialmente «devastanti» di un no deal. Ma non è ancora il tempo di dare un giudizio sull'esito della trattativa tra Usa e Ue sui dazi, perché le incognite sono ancora troppe e ci sarà da «battersi» per portare a casa «l'accordo migliore possibile». Ora bisognerà vedere bene «i dettagli», insiste Meloni.

I margini

Si tratta, come ha spiegato anche Antonio Tajani alle imprese invitate alla Farnesina, di un accordo «quadro» che «giuridicamente» è ancora «non vincolante» e lascia margini per limature. «I sostegni vanno dati», anche attraverso strumenti europei, cerca di rassicurare il vicepremier, in linea con la posizione ribadita da Meloni (e con la nota firmata, a caldo, da tutto il governo).

La ricognizione

«La base di dazi al 15% – ha ribadito la premier – se ricomprende i dazi precedenti che di media erano intorno al 5%, 4,8%, differentemente da quello che prevedeva un possibile accordo al 10% che sommava i dazi precedenti, secondo me è una base sostenibile». Poi bisognerà assicurarsi che alcuni settori sensibili come farmaceutica o auto siano «al 15%», verificare «quali sono le esenzioni» (l'Italia punta su agroalimentare, dal vino ai formaggi). Una volta completata questa ricognizione a livello nazionale ma anche europeo, ha sottolineato Meloni, bisognerà trovare il modo di «aiutare quei settori che dovessero essere particolarmente coinvolti da questa decisione».

Palazzo Chigi - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Palazzo Chigi - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it

Salvaguardare gli interessi

La partita sui dazi per il governo Meloni non è affatto conclusa: tocca studiare nei minimi dettagli l'intesa raggiunta dall'Ue e continuare a lottare per salvaguardare il più possibile gli interessi dell'Italia. Strappando esenzioni per alcuni settori cruciali (come le eccellenze del settore alimentare e della moda) e aiuti concreti da parte di Bruxelles. Fatte queste premesse, è inevitabile che – concordato il 15% di massima – nei palazzi si inizi a riflettere anche sulle contromosse per limitare i danni economici e sociali dei nuovi balzelli a stelle e strisce.

Le contromosse

Diverse le leve ritenute possibili: la revisione del Pnrr del valore di 14 miliardi; la riprogrammazione dei fondi di coesione in favore dei soggetti colpiti che dovrebbe valere altri 11 miliardi; la battaglia per la modifica o sospensione del patto di stabilità; l'apertura, senza troppi tentennamenti, a nuovi mercati per l'export. Mentre nessuno nell'Esecutivo mette in conto la necessità di una manovra correttiva: non se ne parla, tagliano corto in diversi ambienti ministeriali qualificati.

Gli effetti sull’economia

E il motivo è «tecnicamente» semplice, si spiega: non ha senso inserire nella finanziaria di quest'anno degli stanziamenti per contributi che devono essere ancora decisi. Al momento c'è un accordo politico generale di massima tra Usa e Ue sui dazi che dovrà poi essere pazientemente definito settore per settore. Si dovranno poi valutare gli effetti reali sull'economia e sui singoli comparti. Per fare tutto ciò, insomma, servirà tanto di quel tempo da rendere superfluo un intervento sui conti dell'anno in corso. Ad evocare lo spettro della manovra correttiva sono, invece, le opposizioni che rilanciano le parole pronunciate nemmeno due settimane fa dal titolare del Mef Giancarlo Giorgetti: la soglia del 10% «era ragionevole, non si può andare molto lontano da questo numero, altrimenti diventa insostenibile».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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