I Popolari europei restano dominanti in un’Unione alla ricerca d’identità

Sono ormai 25 anni che il Ppe detiene la maggioranza al Parlamento europeo. Alle elezioni del 1999, quando si votò in 15 Paesi, per la prima volta i popolari sopravanzarono i socialisti: il risultato fu di 232 deputati contro i 180 del Pse.
Da allora, con l’eccezione di Romano Prodi, proprio dal 1999 al 2004, i presidenti della Commissione europea sono stati sempre dei popolari: il portoghese Barroso dal 2004 al 2014, il lussemburghese Juncker tra il 2014 e il 2019 e ora von der Leyen candidata dal Ppe per un secondo mandato. Attualmente anche la presidente del Parlamento europeo, la maltese Roberta Metsola, è un’esponente di spicco del Ppe così come ben nove dei 27 commissari Ue.
Bastano questi numeri per descrivere la forza politica che poggia su fondatori come Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi e Robert Schuman non semplici politici cristiano-democratici ma ispiratori dell’Europa contemporanea.
Campo largo
Negli ultimi quindici anni la leader indiscussa dei popolari europei è stata Angela Merkel, anche se un raggruppamento così ampio ha al suo interno comunque sensibilità diverse, a volte anche difficili da gestire. Basti pensare all’ungherese Viktor Orban e al suo partito Fidesz entrati nella famiglia popolare nel 2000 per poi uscirne nel 2021 dopo essere stati sospesi nel 2019 per le scelte illiberali e le norme varate dal governo ungherese in contrasto con lo stato di diritto.
Il Ppe ha avuto indubbiamente un proprio baricentro tedesco, tuttavia è nella dicotomia tra la componente cattolica più conservatrice della Csu bavarese e quella di un popolarismo protestante della Cdu che si sono specchiati i popolari europei in questi anni. Non sempre è stato facile conciliare il rigorismo tedesco a cui si sono accodati i partiti popolari scandinavi e degli Stati frugali con le necessità di politiche monetarie espansive dell’Europa meridionale: basta pensare alle tensioni con l’Italia, la Spagna e la Grecia alla cui guida vi sono stati a lungo partiti del Ppe da Forza Italia al Partido Popular a Nuova Democrazia.
La sfida a destra
Il montare dell’ondata populista a partire dal 2009 è coincisa con un indebolimento costante ed inesorabile dal punto di vista elettorale (si è passati da 265 eurodeputati ai 178 previsti alla prossima tornata). L’idea di forza tranquilla e moderata che si poneva a difesa di valori tradizionali cristiani ma al contempo nella ferra convinzione che la democrazia fosse l’unico credo europeo ha dovuto fare i conti con partiti che da destra hanno conquistato sempre più consensi puntando su temi che storicamente erano appannaggio dei popolari.
Non è un caso dunque che negli ultimi anni una parte del Ppe abbia accarezzato l’idea di archiviare l’attuale maggioranza con liberali e socialisti, la grande coalizione europea, per costruire un’intesa con la destra nazionalista di Meloni e di Kaczynski. Un’ipotesi che pare pragmaticamente accantonata alla luce di numeri sfavorevoli nel prossimo Parlamento europeo, ma anche politicamente inaccettabile per la parte più convintamente europeista della famiglia popolare (a partire dal nuovo primo ministro polacco Tusk, ma anche dalla von der Leyen).
Leader
In un partito europeo così vasto vi sono anche dei vantaggi come la possibilità di scegliere nuovi leader che dopo l’esperienza nazionale possono essere lanciati a livello europeo: tra questi vi sono sicuramente il greco Mitsotakis e la maltese Metsola, dopo che il vero astro nascente l’austriaco Sebastian Kurz si è dovuto dimettere da premier nel 2021 per una serie di scandali di presunta corruzione ed ora fa il conferenziere.
L’Europa di domani presenta sfide non di poco conto, dal posizionamento geopolitico rispetto alle altre grandi potenze globali alla difesa comune che non a caso è il punto qualificante di von der Leyen. In questo orizzonte va valutato anche l’allargamento dell’Unione a nuovi Stati membri senza commettere l’errore fatto nel 2004 di un ingresso in blocco di 10 Paesi in cui anche il Ppe fece campagna acquisti scegliendo i partiti di governo in un’ottica di numeri all’europarlamento. Ma si passa anche per la necessità di mettere mano ai trattati che regolano il funzionamento dell’Unione (con il superamento dell’unanimità).
In questa complessa partita il ruolo del Ppe è e sarà fondamentale: la spinta politica non può che arrivare dal partito di maggioranza relativa a Strasburgo e che oggi è maggioritario in più di un terzo degli Stati membri. L’importante sarà scegliere i giusti alleati per ottenere ciò che davvero è nell’interesse e che rispecchia i valori dei cittadini europei. Nello spirito dei padri fondatori.
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