Stefano Bonaccini a Gambara: «Restiamo uniti contro le destre»

Non è stato il primo applauso, ma è stato quello con gli urletti. Ed è arrivato quando – dietro una sfilata di manifesti che lo riproducevano tale e quale, outfit incluso – ha detto questo: «Guardate che è un’idea precisa quella che hanno in mente (le destre), un piano che voi qui in provincia di Brescia avete ben presente: si chiama modello Lombardia, quello che vuole favorire i privati smantellando i due pilastri del nostro welfare: il diritto alla sanità e quello all’istruzione».
Poi ancora: «Tre anni fa, irresponsabilmente, il centrosinistra si è diviso alle Politiche e alle Regionali e ci hanno dato una sberla che ce la ricordiamo ancora. Cosa deve succedere ancora nel mondo per farci fare fronte comune in antitesi alle destre?» (e su questo la platea è andata in brodo di giuggiole).
Ragazzo di sezione
La barba in stile hipster con gli ormai iconici occhiali a goccia (barba e occhiali, nel 2020, erano diventati il marchio fortunato della sua campagna elettorale per il bis a governatore dell’Emilia Romagna), giacca anche con 34 gradi all’ombra, sorriso ammiccante e subito a stringere mani ai volontari. Il presidente nazionale del Pd Stefano Bonaccini – ieri sera alla 75esima festa dell’Unità di casa a Gambara, ma organizzata insieme a Fiesse e Gottolengo – ha fatto un ingresso un po’ alla Bruce Willis, tra gli applausi e le parole della sua «canzone del cuore» («Viva l’Italia di De Gregori»), sparata dall’impianto per mostrargli una riconoscenza scandita al microfono dal segretario di zona Battista Barozzi.

Perché a Gambara quasi non ci credevano che alla fine arrivasse: «Aspettavamo da moltissimo tempo la presenza di un esponente nazionale qui», nel caldo agostano della provincia. Vale a dire tra chi – come ricordato dal segretario provinciale Michele Zanardi – «dedica le serate a costruire comunità politica per un Pd più prossimo».
Bonaccini questo sentimento lo capisce: è «un ragazzo di sezione», papà camionista e mamma un po’ operaia un po’ casalinga, entrambi del Pci. A stare tra le persone che abitano le province è abituato, gli piace parlar schietto, con la praticità di chi a fine mese si siede al tavolo per fare i conti. Per questo, altrettanto diretto, conclama che le prossime Regionali saranno il test politico vero per misurarsi e sconsiglia alla segretaria Elly Schlein la chiamata anticipata al congresso: «Non abbiamo bisogno di stare sei mesi a parlarci addosso di politologia, bisogna costruire subito un progetto per le Politiche».
Empatia
A quel punto la chimica tra l’europarlamentare e la platea è palpabile. Lui lo capisce e butta sul tavolo il suo jolly, la proposta che «farà alla segretaria» ma che di fatto ora è già pubblica: visto che l’attuale legge elettorale prevede i listini bloccati, «facciamo le primarie per scegliere i candidati da mettere in quelle liste. Ve la ridico così: in provincia di Brescia potrete scegliere di non farvi arrivare gente paracadutata da altre parti d’Italia». Anche perché «servono liste da combattimento».
Basta questo per respingere le destre? No. Il presidente dem non si fa pregare: è chiaro che una ricetta ce l’ha. Non se la tiene per sé, chiaramente, la sviluppa in tre punti. Primo: «Per costruire l’alternativa, non basta mettere insieme tutti contro gli altri. Non serve solo parlare male di Meloni dalla mattina alla sera, perché le persone si ricordano che siamo stati dieci anni al governo. La domanda da fare è: dimmi una cosa che in questi tre anni ha segnato la legislatura della destra e ha cambiato in meglio le condizioni della tua famiglia».
Secondo: «Eviterei i programmi da migliaia di pagine, servono poche azioni chiare. Magari per scriverle chiamerei la parte migliore del Paese, gli direi di venire a darci una mano: dall’Università alle imprese, alla cultura, tutti i mondi che ci stanno». Tre: «Candidare persone che hanno consenso, perfino non basta stare uniti per vincere. Bisogna allargare il più possibile il centrosinistra: diventa condizione necessaria per farcela con questa legge elettorale. Non si può colpire uniti e poi marciare divisi».
Non mancano i riferimenti all’Europa («vedo un mondo che se me l’avessero raccontato qualche anno fa, avrei pensato alla fantasia di qualche ubriaco»), a Gaza (dove «si stanno compiendo azioni oltre ogni limite: serve un’azione politica che Meloni continua a non fare»), a un rigurgito della storia che rischia di ricatapultare tutti in un clima dittatoriale. E al tema di questi mesi: «Lombardia ed Emilia Romagna sono le Regioni che subiranno di più il contraccolpo dei dazi. Costeranno all’Italia 100 miliardi, le piccole medie imprese andranno in tilt». Ultimo assist di popolo: «Parliamo più di questo ai cittadini, stiamo in mezzo a loro, senza paura dei fischi perché ascoltare e rispondere significa portare rispetto».
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