L’Ucraina e la risposta comune europea che ancora manca

La via bilaterale scelta dalla Germania evidenzia la difficoltà a preservare un fronte unitario
Volodymyr Zelensky - Foto Epa/Tolga/Pool
Volodymyr Zelensky - Foto Epa/Tolga/Pool
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Proseguono incessanti i negoziati sull’Ucraina. Incessanti e, non di rado, circolari, ché l’impressione è che si riparta costantemente dal via ovvero non si riesca a sbrogliare quei nodi che si frappongono a un accordo. I principali riguardano in primis l’entità delle concessioni territoriali a Mosca.

Ma tra i nodi al vaglio ci sono pure la natura (e credibilità ultima) delle garanzie che saranno date alla sicurezza, e quindi alla sovranità, dell’Ucraina, e, infine, gli strumenti e le modalità dell’onerosa ricostruzione dell’Ucraina postbellica.

Sono questioni, tra loro strettamente intrecciate, che dominano la discussione, come abbiamo visto anche in questo ultimo summit di Berlino. Rispetto alle quali, Zelensky pare disposto a cedere su alcuni punti per evitare una capitolazione più pesante.

Si discute quindi della proposta statunitense di creare una zona economica speciale e demilitarizzata nella parte di territorio ancora controllato dalle forze ucraine nel Donbass e si accetta formalmente quella rinuncia di Kiev ad entrare nella Nato che in realtà è da tempo questione archiviata e non più sul tavolo.

​​​​​​E si continua a chiedere agli alleati europei di mediare con l’amministrazione Trump, convincendola ad esercitare pressioni più incisive su Mosca e ad abbandonare un atteggiamento che appare troppo sbilanciato a favore della Russia.

Alleati europei che in realtà si muovono, discutendo del possibile utilizzo degli asset congelati russi per concedere un prestito a tasso zero a Kiev e, appunto, della questione nodale delle garanzie di sicurezza all’Ucraina. Particolarmente significativo, in tal senso, è oggi il piano in dieci punti annunciato dal governo tedesco contestualmente al vertice berlinese.

Dieci punti che dettagliano con precisione forme di collaborazione, e finanche d’integrazione, bilaterale tra Germania e Ucraina nell’ambito delle politiche militari e della difesa. Con Berlino che si fa carico di produrre e fornire tecnologia bellica a Kiev e di promuovere vari progetti comuni nell’industria bellica.

Questo accordo bilaterale è però a modo suo esemplificativo delle difficoltà che l’Europa sta incontrando nel surrogare quella che appare a tutti gli effetti come un’inarrestabile defezione statunitense. Come lo è la discussione accesasi sull’utilizzo degli asset russi.

Da un lato, per quanto intensi, questi sforzi di collaborazione militare non possono su tempi brevi produrre garanzie e appoggio credibili quanto quello degli Usa. Dall’altro, la via bilaterale scelta dalla Germania evidenzia la difficoltà per l’Europa di preservare un fronte unitario quando dal semplice sostegno di principio alla sicurezza dell’Ucraina si deve passare all’atto concreto di fornirle gli strumenti con cui perseguirla.

Una mancanza di unità ancor più visibile nella discussione sull’utilizzo degli asset congelati, con Paesi – Ungheria, Slovacchia e ora anche Repubblica Ceca – apertamente contrari e altri, tra cui Italia e Belgio, che assumono un atteggiamento ambiguo e critico.

Sono divisioni su cui cercano ovviamente di fare leva la Russia e gli Stati Uniti. Per indebolire quella risposta comune europea che, sola, può oggi rafforzare la posizione negoziale di Zelensky. E per imporre una pace dai contorni particolarmente punitivi per l’Ucraina.

L’asse venutosi a determinare tra Mosca e Washington deve essere completato da accordi economici che entrambe le parti vogliono, ma faticano evidentemente a trovare. Ed è un asse che dal giorno dell’insediamento di Trump ha messo di fatto il pallino nei negoziati nelle mani di Putin.

Le cui richieste massimaliste e non negoziabili – permesse dal venir meno dell’unità transatlantica, dalle divisioni europee, e dalla natura di una guerra di attrito e logoramento – continua a rappresentare il principale ostacolo al compromesso necessario a un accordo.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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