Ucraina, meno patriottismo ma la guerra va avanti

Nelle ultime settimane la ribalta mediatica sulla guerra in Ucraina è stata focalizzata su notizie a sensazione, come l’ospedale pediatrico colpito a Kiev dai russi (su questo non ci sono dubbi: video che ne rivelano nitidamente sagoma e rumore del motore lo identificano come un missile da crociera Kh-101) o politicamente rilevanti, come il vertice Nato di Washington da cui una indicazione è uscita chiarissima: la guerra continuerà.
Sul terreno, intanto, la situazione resta drammatica, ma è cambiata molto poco, o, quanto meno, non significativamente. La spinta offensiva russa del mese scorso su Kharkiv si è di fatto esaurita: le forze di Mosca, a prezzo di perdite pesantissime (lo stesso Putin aveva accennato a trentamila tra morti e feriti in un mese), hanno conquistato qualche km di terreno, ma sono state contenute e in qualche caso anche rintuzzate dagli ucraini, specie da quando questi hanno iniziato a ricevere nuovo materiale (soprattutto anti aereo) da Occidente.

In questi giorni attorno a Vovchansk si registra un’attività piuttosto intensa, una sorta di andirivieni tra attacchi e contrattacchi, mentre si segnala nella stessa area un tentativo di manovra laterale dei russi che cercano di «passare da sotto». Lo stesso accade a Lipsi, Lyboke, Kriscinka e Ivanyvka. A Chasiv Yar, dove si combatte da molte settimane, la situazione si è praticamente fossilizzata lungo la linea del canale che divide in due la città.
Maggiore profondità la manovra russa ha acquisito più a Sud: uno sfondamento di oltre 4 km si registra infatti a N’Ju Jork probabilmente per aggirare da sotto la città fortificata di Tore’ck e cercare di chiudere le chele della tenaglia prima che le forze ucraine riescano a ripiegare (se restassero intrappolate sarebbero davvero in guai molto seri).
In molte circostanze le forze ucraine contrattaccano, ma lo fanno perdendo uomini e mezzi. Anche senza offensive su larga scala la strategia russa è chiara: allungare il fronte, attaccando in più punti per costringere Kiev a spostare frequentemente le sue sempre più usurate unità migliori per tamponare le falle.
Il fattore tempo gioca a favore di Mosca, che dimostra cinicamente di poter sopportare ratei di perdite umane e attrito di materiali molto più dell’Ucraina. Kiev è in affanno soprattutto di uomini: il reclutamento, che ora attinge anche ai carcerati, e l’addestramento procedono a rilento; un milione di cittadini in età di servizio militare è espatriato e alcune categorie e fasce d’età non sono ancora state richiamate. Ciò incide sul morale della popolazione: il sentimento nazionale patriottico e corale del primo anno di guerra per respingere l’invasore si va affievolendo, mentre cresce la sensazione che la guerra continui perché, altri (leggi la Nato), oltre ovviamente a Mosca, lo vogliono.
In queste settimane aumenta con notevole progressione la costruzione, da ambo le parti, di opere difensive e trinceramenti (ben visibili dai satelliti): in particolare gli ucraini approntano difese alquanto arretrate (come ad esempio ad Orkhiv, oltre dieci km indietro rispetto al fronte). E questo lascia presagire che sia Mosca sia Kiev si preparino ad ancora lunghi periodi di attrito. Del resto anche Mosca da alcune settimane pare risparmiare le forze e non impiega più cospicui complessi meccanizzati, che in più occasioni i droni ucraini hanno letteralmente falcidiato.
Esaminando le perdite ammesse dagli stessi russi emerge un altro aspetto indicativo: solo il 15% dei mezzi distrutti è di concezione moderna; la gran parte sono mezzi Anni ‘60/‘70/’80 tratti dai grandi depositi siberiani, riattivati e gettati sul campo. I russi ne dispongono a migliaia ma non all’infinito: sinora Putin avrebbe perso ben più di tremila tra tank e mezzi corazzati mentre le sue industrie ne producono o riattivano 1500 all’anno. In un paio d’anni anche i depositi siberiani saranno stati svuotati. Ma Kiev ha davvero la volontà e soprattutto possibilità di resistere altri due anni?
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