Tutto nelle mani di von der Leyen

Difficile dire oggi se questi commissari saranno in grado di reggere l’urto di un mondo in forte cambiamento, ma soprattutto se la Commissione nella sua totalità sarà abbastanza forte da bilanciare un Consiglio in cui sempre più Stati pendono a destra (fra dieci giorni anche l’Austria dovrebbe vedere l’affermazione della destra con l’Fpoe).
La prima considerazione è legata indubbiamente all’autorevolezza dei commissari e soprattutto alla scelta di von der Leyen di togliere, di fatto, le gerarchie all’interno del collegio dei commissari: ci sono sei vicepresidenti esecutivi, ma la presidente ha chiarito che sulle politiche di bilancio le decisioni saranno collegiali. Non solo, con l’addio della danese Vestager e le tumultuose dimissioni preventive di Breton (senza dimenticare l’uscita di scena in corso di mandato di Timmermans) la presidente della Commissione ha accentrato molto potere su di sé, anche da un punto di vista materiale, visto il venir meno di figure politiche molto ingombranti.
Every member of my team will bring in their own experience and perspectives on Europe.
— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) September 17, 2024
Together, we will be one team, working towards one common goal.
To make Europe stronger. pic.twitter.com/xIvDNv4C7t
Una concentrazione di potere che fa da contraltare alle sua riconferma faticosa, a partire dal consenso non unanime all’interno del suo stesso partito, il Ppe. L’unica vera riconferma di peso è il lettone Valdis Dombrovskis, che si occuperà di patto di stabilità, crescita e Pnrr (con Fitto), una sponda per i Paesi frugali che temono sempre che l’Ue faccia da un giorno all’altro politiche in deficit.
Inevitabile chiedersi chi è uscito rafforzato nella nuova commissione. Innanzitutto i baltici (anche in chiave antirussa): la ex premier estone Kaja Kallas (nelle liste dei ricercati di Mosca) è la nuova commissaria alla politica estera, il lituano Kubilius si occuperà di difesa europea e una finlandese, Henna Virkkunen, avrà una delega digitale, a tutto campo dall’Intelligenza artificiale alla cybersecurity per la democrazia. I socialisti in commissione sono solo cinque, ma a loro va una delega decisiva: la transizione digitale ed ecologica alla spagnola Teresa Ribera. C’è da aspettarsi scintille con il nostro governo ed in generale con l’industria pesante.
Approdando infine all’Italia va riconosciuto che ha ottenuto un discreto risultato se consideriamo i presupposti, ovvero che Meloni si è astenuta in Consiglio europeo sulla figura di von der Leyen e che a Strasburgo due dei tre partiti di maggioranza (Fratelli d’Italia e Lega) a luglio hanno votato contro la sua nomina. Dunque Raffaele Fitto, nonostante le resistenze di Verdi, Liberali e Socialisti per la sua appartenenza al gruppo europeo sovranista dell’Ecr, ha ottenuto una vicepresidenza esecutiva (anche se sono sei) e forse quel ruolo è arrivato anche alla luce del fatto che l’Italia è uno dei sei Paesi fondatori.
La delega non è certo di primo piano: Coesione e Riforme. Ma permetterà al commissario italiano di gestire i fondi del Next GenerationEu e di coesione oltre che finanziare le riforme strutturali promosse dai 27. Al nostro Paese avrebbe fatto comodo la delega al budget (per poter influenzare la definizione del prossimo bilancio settennale), ma l’incarico è stato affidato ad un polacco, Piotr Serafin, fidato collaboratore del premier Tusk (per altro acerrimo nemico degli alleati di Meloni del partito PiS). Ad ogni modo se Fitto sarà abile potremmo usufruire di maggiori fondi di coesione e ottenere una certa benevolenza sul Pnrr (visti i nostri ritardi strutturali). Il nostro Paese potrebbe trarre grandi benefici da questa nomina, spetterà poi alla politica sviluppare tutte le potenzialità dei fondi di coesione.
Our priorities will be built around prosperity, security, democracy and competitiveness.
— European Commission (@EU_Commission) September 17, 2024
Six Executive Vice-Presidents, hand in hand with all Commissioners, will work to deliver for Europeans.
La prima sfida per Fitto (come per tutti i commissari) sarà superare l’esame del Parlamento europeo dove i rappresentanti dei partiti della nuova maggioranza Ursula, esclusi i Popolari, promettono di dargli filo da torcere. La sfida per la nuova Commissione europea si svilupperà nell’arco di cinque anni, e come detto è quasi esistenziale.
L’Europa naviga nel mare agitato di una politica internazionale molto frammentata e che ha via via perso punti di riferimento. Un’Unione divisa e senza un’idea certa della propria missione può solo essere spettatrice passiva e subire le tensioni globali. Molto dipenderà anche dalle scelte di Bruxelles e quindi dagli Stati membri e dalla classe politica europea. Come per la democrazia anche per l’Ue il lavoro non finisce mai.
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