Tre sovranismi sfidano l’Europa

Si tratta di Europa delle Nazioni Sovrane (Esn), Patrioti per l’Europa e (il più soft) Gruppo dei conservatori e riformisti (Ecr) presieduto da Giorgia Meloni.
Giorgia Meloni e Viktor Orbán dopo un incontro a Palazzo Chigi il 24 giugno 2024 - Foto Ansa/angelo Carconi © www.giornaledibrescia.it
Giorgia Meloni e Viktor Orbán dopo un incontro a Palazzo Chigi il 24 giugno 2024 - Foto Ansa/angelo Carconi © www.giornaledibrescia.it
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Si va completando la formazione dei gruppi politici al Parlamento europeo (Pe), uno scenario inedito, conseguenza del voto popolare, ma anche sviluppo della gestione, da parte della maggioranza (Ppe, S&D, Renew) delle nomine per i «top jobs» del Consiglio europeo, Commissione e Alto rappresentante della politica estera.

Fino a tutto il primo decennio di questo secolo il confronto all’interno del Pe era tra europeismo ed euroscetticismo. A guidare i secondi erano i britannici, favorevoli sì a liberi commerci interni ed esterni, ma non oltre, a partire dalla moneta. Poi l’euroscetticismo è diventato quell’hard euroscepticism da cui è scaturita la Brexit. L’evoluzione è continuata nel sovranismo.

Al suo interno vi sono tre visioni dell’Europa e della democrazia. Denominatore comune è l’avversione, con varie sfumature, nei confronti della sovranità europea. Nell’Europarlamento il confronto è e sarà tra europeismo e sovranismo. Questa è la vera contrapposizione, non quella tradizionale tra destra e sinistra, più adatta al livello nazionale. Contrasto tra chi intende far progredire la prospettiva federalista e chi invece vuol regredire verso forme più sbiadite di collaborazione tra Stati in un’Europa delle patrie e dei nazionalismi.

Queste due prospettive implicano anche una diversa concezione della democrazia. Il federalismo è intimamente legato al concetto di democrazia liberale. Ossia all’assetto della democrazia imperniato sul rispetto delle libertà individuali e della società aperta, divisione dei poteri, stato di diritto, tutela delle minoranze. Il sovranismo hard insegue il concetto di democrazie autoritarie incentrate sull’uomo forte, con un potere sovrastante rispetto ai parlamenti. Quello soft penzola tra confederalismo e larvato federalismo.

Nel Pe sono tre i gruppi nei quali si concretizzano queste anime del sovranismo. Due, espressione del sovranismo hard, nati in questi giorni, sono Europa delle Nazioni Sovrane (Esn) e Patrioti per l’Europa. Il terzo, espressione del sovranismo soft, è alla sua quarta legislatura, si tratta di Ecr presieduto da Giorgia Meloni.

In Esn sono confluiti partiti di estrema destra, quali l’AfD tedesca, suo principale sponsor, poi i polacchi di Confederazione, i bulgari di Revival, i francesi di Reconquête ed altri, per un totale di 25 parlamentari in rappresentanza di otto Paesi. Già i loro nomi indicano verso dove guardino. Verso un passato nient’affatto glorioso, se non la «gloria» del mito della sovranità assoluta dal quale l’Europa ne è uscita auto-distrutta per ben due volte nel volgere di un trentennio.

Se Esn è la creatura di Afd, Patrioti per l’Europa è quella di Orban. Sono ben note le sue posizioni antieuropeiste. L’ultimo saggio della sua viscerale avversione all’Ue lo dà in questi giorni, con estemporanee visite in Russia e Cina, approfittando della presidenza semestrale ungherese del Consiglio dell’Ue.

A tale proposito vale una precisazione. Orban non presiede il Consiglio dell’Ue, perché non esiste, a norma di trattato, la figura del suo presidente, è il premier del Paese detentore della presidenza semestrale. Presidenti delle varie configurazioni del Consiglio sono i suoi ministri, cui spetta di convocarli e stabilirne l’ordine del giorno. In definitiva Orban si attribuisce un ruolo non esistente.

Björn Höcke presidente di Alternative für Deutschland - Foto Ansa/Epa/Fabian Strauch © www.giornaledibrescia.it
Björn Höcke presidente di Alternative für Deutschland - Foto Ansa/Epa/Fabian Strauch © www.giornaledibrescia.it

Ecr è espressione di un sovranismo confederale ma consapevole di come nella difesa e politica estera vi sia necessità di un livello europeo, di una gestione comune. Insomma, un gruppo con il quale, a differenza dei due precedenti, la maggioranza europeista potrebbe trovare forme di dialogo, anziché arroccarsi e imporre, come è avvenuto per i «top jobs» la propria soluzione.

Non è solo questione di metodo, ma anche di rispetto delle minoranze. Un aspetto della democrazia liberale del quale la maggioranza europeista si è dimenticata. La radicalizzazione nel Pe è anche figlia di tale condotta.

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