Gaza, la ricostruzione e gli sfollati: un esodo senza meta

Trump, dopo aver paragonato la Striscia a «un enorme sito di demolizione», è passato a volerla ripulire dai milioni di sfollati: l’obiettivo è costringere l’Egitto e la Giordania a farsene temporaneamente carico
Palestinesi in viaggio per fare ritorno nel nord del Paese - Foto Epa/Mohammed Saber © www.giornaledibrescia.it
Palestinesi in viaggio per fare ritorno nel nord del Paese - Foto Epa/Mohammed Saber © www.giornaledibrescia.it
AA

Nella lunga e travagliata storia del popolo ebraico il termine «Exodus» ha sempre rappresentato una speranza. L’esodo per antonomasia, parte fondante delle sacre scritture, portò gli Ebrei fuori dall’Egitto verso la Terra Promessa e ripercorrendo idealmente quel viaggio, nel 1947 sarà il nome della nave che cercherà di ricondurre, senza successo, nella Palestina mandataria britannica migliaia di profughi verso quella regione che l’anno successivo diverrà lo Stato di Israele. Malgrado il fallimento della missione, sarà proprio su quell’imbarcazione che nasceranno i simboli identificativi dello Stato ebraico: l’inno e la bandiera.

Le immagini della nave, con un bianco e nero che ci restituisce solo parte la drammaticità di quell’evento, rappresentano tutt’ora la sofferenza, la determinazione, il diritto a voler costruire un «focolare domestico ebraico in Palestina», come ebbe a dire Arthur Balfour nel 1917, osteggiato poi dagli stessi inglesi perché il massiccio flusso di profughi aveva provocato la Grande rivolta araba.

Non in bianco e nero, ma il colore oggi ci rimanda ad un’altrettanta drammaticità, con le immagini dei droni che riprendono dall’alto uno scenario apocalittico e di distruzione totale. Davanti a oltre cinquanta milioni di tonnellate di macerie, tra cui molte di amianto, il neoeletto Presidente Trump, dopo aver paragonato qualche giorno fa Gaza a «un enorme sito di demolizione» nel quale, ricostruendo, si «possono fare cose bellissime» è passato a voler «ripulire» la Striscia dai milioni di sfollati, in attesa di costruire qualcosa di nuovo. Ripulire è un verbo eufemisticamente assai infelice, soprattutto all’indomani della Giornata mondiale della Memoria, un termine che rimanda alle pagine più buie della Storia contemporanea.

L’obiettivo è costringere Egitto e Giordania, i due Paesi che per 19 e 17 anni controllarono rispettivamente Gaza e la Cisgiordania, a farsi carico «temporaneamente» degli sfollati in attesa della ricostruzione. Ma si sa che in Medio Oriente la semantica assume valori e significati del tutto particolari e, come già accaduto in passato, l’avverbio «temporaneamente» significa per sempre. La Nakba palestinese drammaticamente lo dimostra. Si profila dunque un duplice problema: come ricostruire completamente un territorio con la concomitante presenza di centinaia di migliaia di sfollati? E quali potrebbero essere le garanzie politiche per un loro sicuro ritorno? Oggi se c’è un lacerto di terra che può costituire la base per la costruzione dello Stato palestinese è proprio Gaza. Troppo parcellizzata la Cisgiordania. Nel silenzio di un approccio internazionale emergono tutte le vulnerabilità di una tregua che resiste solo perché le due parti in causa hanno motivi specifici per rinviare una nuova escalation.

L’ultradestra israeliana si aspetta che la capacità di persuasione di Trump sul regime di al-Sisi e sul regno di Abdallah II di Giordania sortisca i suoi effetti, sebbene questi si siano già detti restii nell’assecondare la proposta statunitense di dislocare i profughi sui loro territori. Troppo pericoloso per l’Egitto, preoccupato che tra le fila dei bisognosi possano celarsi membri di Hamas, la cui matrice con la Fratellanza musulmana potrebbe rinvigorire il terrorismo locale. La Giordania subì il tentativo di rovesciamento della sua monarchia da parte di organizzazioni palestinesi nel 1970-’71 e teme ora un’ondata senza precedenti. Hamas tenta di capitalizzare il successo mediatico dato dal grande show della liberazione degli ostaggi israeliani e cercherà di rafforzare le sue milizie con i palestinesi liberati dalle carceri israeliane, così come avvenne nel 2011, nello scambio che vedrà la liberazione di Yahya Sinwar.

Nella lentezza d’azione della comunità internazionale Hamas intanto ha preparato un piano di ricostruzione della Striscia di 200 pagine, il Gaza Phoenix, definendo le priorità a breve, medio e lungo termine per la ricostruzione e lo sviluppo del territorio, per accreditarsi a gestire non solo la ricostruzione, ma continuare a essere il leader indiscusso del territorio. Un punto sul quale sicuramente ci saranno durissimi veti. Tuttavia, al momento nessun leader palestinese sembra poter godere di sufficiente legittimazione, né di una visione politica che sia realmente rivolta verso la popolazione sofferente. Ciò che stride è la coincidenza delle immagini che restituiscono sofferenza tra gli sfollati alla ricerca della loro antica casa, forse una volta la Terra Promessa, mentre oggi lo è identificare tra le macerie quale fosse la propria abitazione. Sembra un esodo senza meta, un tempo proprio dell’Ebreo errante, oggi dei Palestinesi della Striscia di Gaza.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato

Icona Newsletter

@News in 5 minuti

A sera il riassunto della giornata: i fatti principali, le novità per restare aggiornati.