Opinioni

Solitudine: che fare con gli adolescenti?

Come adulti, dovremmo offrire più dialogo, meno risposte e più domande aperte
Un adolescente
Un adolescente
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Mi capita con sempre maggiore frequenza di ascoltare giovani adolescenti che chiedono aiuto perché si sentono soli. È dolorosa la solitudine anche se può sembrare paradossale vista la sovrabbondanza di strumenti di comunicazione che abbiamo a disposizione. Eppure i giovani si sentono soli e lo sono. Così mi porto appresso narrazioni incredibili di ragazzi e ragazze che avvertono uno stato di dolorosa solitudine e non trovano aiuto da nessuno.

Ci sono indagini che parlano di un buon 20% che non ha nessuno a cui dire che sta male. Tanti amici virtuali ma non un compagno, una fidanzata, un genitore, un allenatore, un insegnante cui raccontare la propria solitudine. Pensi che le nuove generazioni vivano l’amicizia con gli onnipresenti smartphone e ti stupisci che un’indagine di Save the Children indichi come l’85% dei ragazzi sappia dell’importanza dell’amicizia reale, fatta di contatto e corpo, ma non fa nulla per questo.

Così 1 su 4 dei giovani si sente solo e non comunica a nessuno le tante sensazioni negative. Ogni volta io mi chiedo perché accade e mi dico che conta il fatto di essere attorniati da persone che non ascoltano. Per la maggior parte un po’ tutti viviamo isolati, distanti l’uno dall’altro. La realtà collettiva è quella di una società di sordi, povera di «abbracci» e di baci autentici, che si accontenta dei cuoricini rossi in rapida successione nei messaggi Whatsapp o Telegram.

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«Cari genitori», la solitudine dei giovani

Ma come aiutare gli adolescenti? Cosa proporre alla generazione Alpha fornitissima di mezzi di comunicazione ma senza strumenti per far fronte alla solitudine? Penso che, come adulti, dovremmo offrire più dialogo, meno risposte e più domande aperte. A tavola apriamo la conversazione su ciò che accade, i fatti belli o brutti che avvengono, le novità sociali. A scuola non riempiamo le loro menti con pensieri già pronti, ma aiutiamoli a far emergere le loro riflessioni e le considerazioni, le loro idee anche se sbagliate. Si chiama maieutica, l’arte di tirar fuori il sapere ed era l’abilità socratica di educare e formare i giovani.

Stimoliamoli quindi, a pensare chiedendo più spesso «Ma tu che ne pensi?» Facciamoli partecipare attivamente alla ricerca di strategie utili per affrontare situazioni difficili. Certo questo ci richiede di ascoltarli, guardarli negli occhi, osservare con attenzione il loro corpo. Ma diamo spazio al pensiero autonomo. Facciamoci poi aiutare nel fare alcune cose in casa e facciamole insieme. Chiediamo loro di fare anche qualcosa per gli altri.

Si cresce se si assumono responsabilità e si hanno iniziative. Spingiamoli a fare progetti e lasciamoli sbagliare. Pazientiamo nel vedere i risultati, ma solo alla fine chiediamogli il conto. Lasciamoli cadere perché imparino a rialzarsi, ma non facciamogli sgambetti. Smettiamola di considerarli bambini incapaci di cavarsela da soli, anche se mantengono (e devono mantenere) aspetti infantili. Attendiamoci che siano loro, qualche volta, a prenderci per mano. Li aiuterà a sentirsi meno soli.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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