Shoah, la memoria come antidoto

Per far memoria l’immaginazione è essenziale. Un ricordo viene rievocato tramite immagini. Ma come si fa a fare memoria di ciò che non si è vissuto direttamente? Anche in questo caso serve l’immaginazione. La differenza sta nel fatto che, in più, bisogna fare lo sforzo di immedesimarsi in ciò che altri hanno vissuto, mentre ce ne rendono partecipi. In altre parole, è necessaria la disponibilità di immaginare a partire dall’ascolto di una storia non nostra.
Questo sforzo immaginativo è l’unico che può aiutare a far memoria della Shoah grazie allo studio della sua storia. Vorrei, perciò, fare un esempio concreto di questo sforzo. Oggigiorno quando un insegnante entra in aula apre il registro elettronico e fa l’appello. Normalmente, nel chiamare ogni alunno per cognome e nome, lo saluta e gli chiede come sta, o come si sente, manifestando un minimo di interesse verso la sua presenza.
Sembra qualcosa di poco conto. Ciò nonostante, proviamo ora ad immaginare di ritornare ai primi di settembre del 1938, all’inizio di quell’anno scolastico. Siamo insegnanti, entriamo nelle aule e alcune circolari ministeriali ci obbligano, mentre facciamo l’appello, a verificare chi fra i nostri studenti sia ebreo o presumibilmente tale, secondo arbitrari criteri stabiliti dal regime. Una volta fatta questa verifica, abbiamo l’obbligo, come funzionari pubblici, di denunciare al ministero dell’Istruzione questi nostri alunni e mandarli a casa. Pena: rischiare ritorsioni violente su di noi o sulle nostre famiglie.
Non è difficile comprendere che il modo di fare l’appello di oggi è decisamente migliore e più umano di quello dei colleghi del 1938. Non serve molta immaginazione. Ma, di questo, dovrebbero rendersene conto soprattutto gli studenti che, presenti in aula oggi, rievocano il Fascismo con nostalgia ed entusiasmo, senza porsi troppe remore al riguardo. Infatti, alcuni di essi si stanno convincendo che si può anche tornare a pestare un giovane insegnate per riaffermare la bontà degli «ideali» fascisti. Difficilmente, si può spiegare in altro modo ciò che è accaduto al povero collega dell’Antonietti di Iseo all’inizio di quest’anno solare, malmenato da alcuni ex-studenti nostalgici del duce.
Sembra che alcuni studenti non percepiscano la fortuna di vivere in una scuola democratica, in cui noi insegnanti cerchiamo di educarli con pazienza e non di denunciarli per apologia di Fascismo ogni volta che inneggiano a ciò che non hanno vissuto. Certamente, anche in questo caso è di aiuto rinfrescare loro la memoria, ovvero aiutarli ad immaginare che la forza dell’istruzione è altra e contraria a quella dell’intimidazione, della minaccia e della violenza.
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