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Sanremo 2025, il successo di un festival pop ma non populista

Carlo Conti con la sua professionalità e normalità si è meritato gli ascolti da record. Il conduttore sorprende con la presenza di Benigni
Carlo Conti a Sanremo
Carlo Conti a Sanremo
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Il successo del Festival «normalizzato» di Carlo Conti pone la domanda tipica di altre performance: in F1 conta più macchina o pilota; nel calcio, più squadra e società o allenatore; d’una fiction è più importante storia o regia? Insomma, quanto un buon contenitore favorisce un buon contenuto?

La sorpresa Benigni

Se hai un programma tv collaudato in 74 anni, un rito con canoni che ne fanno ogni anno il più guardato comunque, non vaneggi un para-trumpiano Make Ariston Great Again: la grandezza l’hai già. Certo, un incapace (succede, succede...) può far danno. Ma Carlo Conti sa il fatto suo e si conferma re dei conduttori, anche paraculo avendo a sorpresa calato l’asso-Benigni che noi maliziosi citavamo a rimpianto del Sanremo de-politicizzato concepito «in absentia» di monologhi e satira.

E invece, ecco il Roberto nazionale satireggiare, invero soft, giusto avvisando che la Giorgia che non è la vincitrice morale dell’Ariston potrebbe, come sillaba lei, “càn-tà-re” per anni ancora.

Il conduttore Carlo Conti con Roberto Benigni
Il conduttore Carlo Conti con Roberto Benigni

Efficace

La bolla-Festival ha funzionato, isolandosi e isolandoci: per cinque giorni siamo stati ipnotizzati fratelli; sanremesi se non proprio d’Italia. E Conti ha meritato ascolti record, pronuba la nuova Total Audience dell’Auditel, che rileva dal maxischermo ai cellulari. Ha usato le sue doti – professionalità e normalità da (eccellente) travet della tv – confezionando e guidando, in costante controllo, una kermesse ecumenica che ha disarmato il dubbio (lecito su una Rai per altri versi terremotata da spoil-system) che potesse rivelarsi populista anziché popolare.

Sanremo è stato solo pop, come da sua natura; di rado originale (Papa, Jovanotti, Cucciari), ma sempre efficace pot-pourri di generi-show. Nemmeno le canzoni hanno creato imbarazzi, dati i testi sideralmente lontani (oculata pre-selezione?) da impegno e polemica.

Come un dentista, Conti ha anestetizzato il molare potenzialmente dolente del raccontare i guasti della politica e della società esistenti fuori dall’Ariston. Segno che la forza del marchio è tale da frenare eccessi revisionistici, ma consente prudenti omissioni. E difenderà la convenzione Rai-Comune dalle mire (chi e a quali livelli d’investimenti e capacità produttiva?) dell’azione legale contro la 75ennale esclusiva.

Conclusioni

Al dunque, un Festival che produttivamente fa onore alla Rai, uno show visivamente all’avanguardia con regia sfavillante in confezione-videoclip/«X Factor». E un bravo conduttore che ha puntato sulla routine, compresi i sostitutivi degli abiurati monologhi. Sono mancati originalità e brividi. Un bene, un male? Semplicemente... Sanremo.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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