Ruanda, la Svizzera d’Africa e il voto bulgaro per Kagame

Il presidente in carica dal 1994 riconfermato con il 99,15% dei consensi
Paul Kagame durante le votazioni - Foto Ansa/Epa/Daniel Irungu © www.giornaledibrescia.it
Paul Kagame durante le votazioni - Foto Ansa/Epa/Daniel Irungu © www.giornaledibrescia.it
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Un Paese pulito, ordinato, con zone verdi, niente plastica abbandonata, pure il wifi funziona bene. Questa è Kigali, la capitale del Ruanda. Benvenuti in quella che il presidente uscente, Paul Kagame, ama definire la «Svizzera africana».

In carica dal 1994, inizialmente come vicepresidente e ministro della Difesa e, dal 2003, come presidente, si è ripresentato lunedì 15 luglio alle presidenziali, per il quarto mandato. E, i primi risultati preliminari letti ieri sera alla tv nazionale dal presidente della Commissione elettorale, Oda Gasinzigwa, attribuiscono a Kagame il 99,15% dei voti.

Uomo carismatico, che incute soggezione anche per la sua altezza, quasi un metro e novanta, può contare sull’ottima crescita economica del Paese (con una media del 7,2% tra il 2012 e il 2022), anche se secondo la Banca Mondiale, la popolazione non ne ha beneficiato molto. Fu lui, il 15 luglio 1994, alla guida del Fronte Patriottico Ruandese (Rpf), a porre fine al genocidio, iniziato il precedente 7 aprile, che registrò ottocentomila morti in cento giorni, nella stragrande maggioranza di etnia tutsi, per mano dell’etnia hutu.

Che non ci sarebbero state sorprese è sempre stato evidente, perché la campagna elettorale è stata a senso unico: «Tora (vota) Paul Kagame». La Ong Human Right Watch ha denunciato il sostanziale dominio dell’informazione governativa a ridosso delle elezioni. E perché non ci sono competitor degni di rilievo. Franck Habineza, 47 anni, un passato da giornalista, è il fondatore del Partito dei Verdi ruandesi, è stato il primo oppositore a sedere in Parlamento durante l’era Kagame. Philippe Mpayimana, 54 anni, scrittore e giornalista, si è presentato come indipendente, rivolgendosi principalmente ai ruandesi in diaspora, che votano nelle Ambasciate e nei Consolati all’estero.

A due giorni dalla chiusura dei seggi, non hanno raggiunto assieme l’1%, più o meno come nella scorsa tornata elettorale. Nessuno di loro ha mai rappresentato davvero un pericolo. «Anche perché – afferma Michela Wrong, nel suo libro “Do Not Disturb” – in realtà il Ruanda è un Paese estremamente repressivo, dove chi è considerato una minaccia viene trattato con durezza». O, più, semplicemente, escluso dalle elezioni per motivi vari, come Victoire Ingabire, Bernard Ntaganda e Diane Rwigara.

I cittadini in fila per il voto a Kigali - Foto Ansa/Epa/Daniel Irungu © www.giornaledibrescia.it
I cittadini in fila per il voto a Kigali - Foto Ansa/Epa/Daniel Irungu © www.giornaledibrescia.it

Paul Kagame, 66 anni, che mantiene solidi rapporti con l’Occidente, aveva già ottenuto risultati «bulgari» alle elezioni del 2003, 2010, 2017 e, con la riforma della Costituzione, si è assicurato di poter restare al potere fino al 2034. Dopo l’annuncio di questi primi risultati, il presidente uscente ha ringraziato – prima parlando dalla sede del Fronte Patriottico Ruandese (oggi partito al potere), poi attraverso i social –, i nove milioni i ruandesi che hanno votato nei 2.433 seggi. I risultati definitivi arriveranno il 27 luglio, ma l’esito è scontato. Oltre alle presidenziali, si è votato anche per le legislative: in lizza oltre 500 candidati per 80 seggi parlamentari. Gli elettori eleggono direttamente 53 rappresentanti, mentre 27 seggi sono riservati alle donne e a persone con disabilità.

Quella della partecipazione femminile è una carta che Kagame si è giocato bene nel corso degli anni. D’altra parte, non sarebbe stato possibile evitarlo. Perché se è vero che mezzo milione di donne sono state violentate durante il genocidio, dando alla luce almeno 10mila bambini «figli dell’odio», è anche vero che sono sopravvissute in numero maggiore degli uomini e che hanno le mani meno sporche di sangue.

Ed è grazie al loro coraggio che l’orrore ha avuto un nome. Il Tribunale penale internazionale di Arusha (in Tanzania) ha riconosciuto lo stupro come crimine contro l’umanità e arma di genocidio. Nel 2003 nella Costituzione sono entrate le quote rosa: alle donne vanno il 30% dei seggi di tutti gli organi governativi. Il Ruanda è stato il primo Paese al mondo a raggiungere la maggioranza delle donne in Parlamento, il 66%, primato che detiene tuttora.

L’altra carta giocata dal presidente è la riconciliazione, con la creazione di tribunali comunitari ad hoc, e con l’abolizione dell’obbligo di inserire l’etnia nelle carte di identità. Dei 14 milioni di abitanti, più del 70% ha sui trent’anni. I giovani non vogliono dimenticare il passato, ma non vogliono neppure esservi fagocitati. Il Ruanda quest’anno è balzato più volte agli onori delle cronache: lo scorso aprile, per l’anniversario dei trent’anni dal genocidio, e poi per l’accordo atto a ricevere rifugiati espulsi dalla Gran Bretagna.

Potrebbe sembrare strano visto che il Ruanda è tra i più piccoli stati africani, ma anche quello con la densità demografica più alta e che già ospita oltre 130.000 tra rifugiati e richiedenti asilo, se non fosse che, in cambio, la Gran Bretagna ha inviato oltre 200 milioni di sterline. E, nonostante la leadership britannica sia cambiata e il nuovo premier, Keir Starmer, primo laburista al governo dopo decenni, nel suo primo giorno da Primo Ministro abbia messo la parola fine al progetto di deportazione, Kigali ha fatto sapere che non restituirà la somma ricevuta.

Accusato dal governo congolese e da un Rapporto Onu di depredare la vicina Repubblica di importanti risorse minerarie avvalendosi del gruppo ribelle M23, e di smerciarle come proprie, Kagame nega e tira dritto sulla strada delle relazioni diplomatiche, con gli Emirati Arabi e la Cina come primi partner commerciali. Inoltre, dopo l’accordo di febbraio con l’Ue sulla sostenibilità e tracciabilità di minerali strategici, un nuovo accordo quadro è stato siglato con la Corea del Sud. Un miliardo di dollari per finanziamenti agevolati a una serie di progetti, tra cui assistenza sanitaria, istruzione, sviluppo rurale, energia.

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