Il nodo ancora irrisolto dell’università italiana

Il governo Meloni ha approvato un disegno legge sulle regole di reclutamento del personale universitario docente. Iniziativa del Ministero dell’Università e della ricerca scientifica, guidato da Anna Maria Bernini. Un cambio di regole significativo. Ultimo di una lunghissima serie, ciascun termine della quale avrebbe dovuto porre rimedio all’inadeguatezza del precedente. Inadeguatezza in termini meritocratici, ma anche di prospettive di effettivo inserimento nella carriera accademica.
La riforma Bernini ha tutto per porre fine al suo termine precedente quanto all’inserimento nella carriera, non tutto quanto a meritocrazia. Non per demerito di Anna Maria Bernini e dello staff tecnico cui si deve l’elaborazione della riforma, ma per un assetto più antico. Tanto antico da precedere l’unità d’Italia, vedi la legge Casati del 1853. Passarono settant’anni, e nel 1923, con la riforma di Giovanni Gentile, ministro dell’Istruzione nel primo governo Mussolini, quell’assetto venne rafforzato, per consentire un controllo dal centro dell’insegnamento universitario. In più consentiva di accentuare il carattere paternalistico dello Stato voluto dal regime; cosicché chi conseguiva una laurea aveva in mano un diploma tale da dargli, magari non proprio la certezza, ma sicuramente un potente asset d’accesso al pubblico impiego, al posto sicuro, potente fattore di consenso popolare.
Un fondo da 150 milioni di euro per incentivare le imprese ad assumere ricercatori e dottori di ricerca. Un incremento di 9,5 milioni del Fondo affitti per gli studenti fuorisede, valorizzando il merito e prevedendo una salvaguardia per gli universitari con disabilità. Nuove… pic.twitter.com/yMvvSHhCwv
— Anna Maria Bernini 🇮🇹 (@BerniniAM) May 21, 2025
Parliamo del carattere di valore legale del titolo di laurea. Gli anni corrono, cento ed oltre, tutto cambia. Ma forse non proprio tutto. Anzi, dentro quel «proprio» troviamo tante cose. Una delle più ingombranti è, appunto, il valore legale della laurea. Il problema è questo: la mancanza di una vera autonomia delle università, zuccherini a parte, nel definire i propri curricula, tarpa la concorrenza. «Questa o quella per me pari sono»; l’immaginario Duca di Mantova del buon Verdi si riferiva ad altro, non alle università. Ma la mancanza di concorrenza non consente ai nostri atenei di crearsi un premio, un plus nella scelta. Uniforma. Non vi è uno stimolo alla ricerca dell’unicità, per la quale è necessario disporre di un corpo docente attagliato a quanto una specifica università potrebbe proporsi di offrire, per attrarre studenti. Le università non sono stimolate ad andare alla ricerca di chi a loro più si confà.
La riforma Bernini cerca, lodevolmente, di valorizzare le sedi locali, (ri)dando ai singoli atenei i concorsi. Un buon principio, ma in un ambiente di concorrenza, non di regime del valore legale. Così si rischia di tornare a un passato non proprio esaltante. Quando i concorsi locali vedevano i candidati interni in pole position. Il più delle volte la pole la mantenevano sino al traguardo. Quando non era così, erano tuoni e fulmini. Se il temporale non scoppiava, il vincitore, ultimato il triennio d’obbligo, lasciava, per tornare all’Alma Mater.
Ulteriore conseguenza del valore legale, il programma Next Generation Eu, nella sua «Missione» dedicata all’istruzione superiore, mette l’accento sulla modernizzazione dei curricula. Nel nostro Pnrr vi è ben poco di questo, se non qualche ritocco ai concorsi per l’accesso alle professioni. Non poteva essere altrimenti, proprio per via della standardizzazione, conseguenza del valore legale. Ancora, questo sistema in buona parte centralizzato crea difficoltà nello stabilire accordi internazionali; perché impone percorsi non sempre in linea con gli interessi di chi sarebbe interessato a studiare da noi. Il Pnrr poteva essere l’occasione d’oro per sbarazzarci di tanto, e dal punto di vista storico-politico, imbarazzante fardello. Come levar gli scudi contro una riforma per adempiere un progetto di tal fatta? Per di più, a difesa di una legge fascista, nel tempo e nello spirito. Si è ancora a tempo. È solo questione di coraggio. Troviamolo. Converrebbe pure a noi, per dirla con Mourinho: «zero tituli»... legali.
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