Referendum, le firme digitali contro l’antipolitica

Una piccola rivoluzione ampiamente positiva si è compiuta nel corso degli ultimi giorni, mostrando la sua utilità certificata proprio dalla quantità di persone che se ne sono servite
Il deposito delle firme cartacee per il referendum sull'Autonomia - Foto Ansa/Fabio Cimaglia © www.giornaledibrescia.it
Il deposito delle firme cartacee per il referendum sull'Autonomia - Foto Ansa/Fabio Cimaglia © www.giornaledibrescia.it
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In Italia le rivoluzioni non funzionano (o finiscono per essere così «inefficienti» da non centrare l’obiettivo). Così risultano assai rare. C’era stata quella dell’Alta velocità ferroviaria, ormai svuotata, nel post-Covid, dal «Termidoro» dei ritardi e del sovraccarico ben noti ai viaggiatori.

E ora c’è la firma digitale per i referendum. Un’altra piccola rivoluzione, in questo caso vittoriosa – e che giudichiamo ampiamente positiva –, si è compiuta nel corso degli ultimi giorni, mostrando la sua utilità certificata proprio dalla quantità di persone che se ne sono servite.

E portando, in tal modo, a una rapida raccolta delle sottoscrizioni per i prossimi nuovi referendum: contro l’Autonomia differenziata (per il quale sono state depositate 1 milione e 300mila firme), per la Cittadinanza (arrivate a oltre 637mila nel momento in cui stiamo scrivendo) e quello sul Jobs act. A luglio di quest’anno, infatti, è stata attivata la piattaforma per raccogliere le firme digitali per i quesiti referendari, a cui si accede mediante Spid. Un grande passo in avanti, poiché lo snellimento burocratico si rivela importante in un Paese nel quale si doveva andare alla ricerca costante del banchetto che non si trovava, come pure per la questione della gratuità, dal momento che in precedenza, invece, i comitati organizzatori erano tenuti a pagare per la certificazione di ogni firma.

In un’epoca di disillusione, antipolitica e astensionismo sempre crescenti, dunque, la firma referendaria digitale va salutata con grande favore.

Una forma di partecipazione «alleggerita» rispetto a quelle tradizionali, e che presenta varie similitudini con l’attivismo online ma, proprio alla luce dei tempi che viviamo e delle mutazioni della cultura sociale, indiscutibilmente importante. E che ha assistito al ritorno del ruolo dei testimonial famosi fiancheggiatori della causa referendaria, nella fattispecie personaggi dello show business come il rapper Ghali e il conduttore-comico Zoro. Anche se non si tratta, appunto, di una novità in assoluto e, anzi, della riconferma di un aspetto di lunga data della politica più movimentista quale è quella che promuove le campagne referendarie, affiancata da sempre da mobilitazioni di intellettuali e, più di recente, di celebrities appartenenti al mondo dello spettacolo.

Una raccolta firme © www.giornaledibrescia.it
Una raccolta firme © www.giornaledibrescia.it

Come ogni cambiamento, nondimeno, anche la firma referendaria digitale presenta alcune implicazioni ulteriori su cui vale la pena di riflettere, e pure alcune considerabili come seriamente problematiche. Non stiamo parlando del vaglio preliminare di ammissibilità da parte della Corte costituzionale, senza il quale, come noto, un referendum non si può celebrare. E neppure della dimensione di politique politicienne che, non da oggi, fa scattare nella sinistra la scommessa sulla «scorciatoia» referendaria per tentare di modificare i rapporti di forza con gli avversari, o per ribaltare esiti elettorali che l’hanno vista perdente. Una tentazione sicuramente accentuata dalle difficoltà dei rapporti interni al «campo progressista», dove le battaglie referendarie, invece, aiutano l’unità, come pure dal numero ingente (tre) di prossime battaglie contro provvedimenti del governo presente (o di quelli passati).

In ogni caso, in realtà, il nodo più sensibile rimanda a un (assai discutibile) must di questa nostra epoca: la voglia sfrenata di disintermediazione. L’appello al popolo, a volte, più che rivelarsi un’espressione di «democrazia diretta», può essere evocato per l’incapacità di fare opposizione efficace da parte di certi partiti e classi politiche. E, in tal caso, rischia di assecondare una volta di più la tendenza verso la democrazia plebiscitaria e la polarizzazione attraverso degli eccessi di semplificazione di cui la dialettica democratica autentica non avrebbe affatto bisogno.

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