Quando la mediazione familiare diventa arte trasforma il caos in futuro

Il 16 ottobre, mese dedicato alla mediazione familiare, si terrà la Giornata Nazionale della Mediazione Familiare (che quest’anno si svolgerà in contemporanea con il Conflict Resolution Day, istituito dal 2005, a livello internazionale dall’Association for Conflict Resolution e dal World Mediation Forum). Un’ eccezionale concomitanza che darà ancora più risalto ad un percorso dalle tante, infinite, risorse, unico nel suo genere nonostante i molti tentativi di emulazione che, peraltro, non riescono neppure lontanamente a replicare la matrice originaria. La migliore fra queste risorse? Certamente la capacità trasformativa.
La illustro con l’aiuto di una parola, in particolare: Serendipity. Conosciuta per lo più per una nota pellicola romantica del 2001, in realtà è stata creata nel 1754 dallo scrittore Horace Walpole in una lettera inviata ad un amico, nella quale, per raccontare di una sua scoperta inaspettata su un dipinto del Vasari, citava una famosa fiaba persiana intitolata, appunto, «I Tre prìncipi di Serendippo» (Serendip è un antico nome persiano). In questa favola i tre protagonisti facevano scoperte incredibili, per caso, aiutati da spirito acuto e tanta sagacia.
Da allora per serendipità si intende quel manifestarsi dell’inaspettato che conduce a nuove rivelazioni: quello che accade spesso al mediatore familiare durante il percorso. Perché ciò accada occorre poter praticare la mediazione con tempi scanditi ma diluiti, cosa spesso difficile da far comprendere ai mediandi che, soffocati dalla enorme medusa del conflitto, sono posseduti dalla fretta di raggiungere obiettivi precisi attraverso soluzioni preconfezionate, prêt-à-porter e non sartoriali. Il conflitto inscenato è però solo la parte visibile di un enorme iceberg nel cui lato sommerso albergano emozioni intense, interessi inespressi e bisogni inascoltati.
A volte i mediatori assecondano e si trasformano in negoziatori, impongono e suggeriscono soluzioni finalizzate a veloci compromessi, per arrivare a quella firma che pare il suggello catartico della questione con annessa la fine della sofferenza. Nella realtà, spesso, invece, i conflitti peggiori nascono proprio da quel momento. Nel conflitto familiare, non ci sono posizioni da negoziare, ma valori feriti e solo quando questi valori vengono portati alla luce, nominati e riconosciuti, il conflitto si umanizza. È allora che l’inaspettato agire del caso si manifesta e porta la vita vera nella stanza, avviando la coppia genitoriale, alla necessaria trasformazione che la crisi richiedeva.
Un processo che necessita di tempo e pazienza per favorire l’avvento di quel momento magico, che noi ben conosciamo, in cui le parole si fermano, gli sguardi si cercano (come quelli dei sopravvissuti ad un cataclisma) e, casualmente, si vedrà nascere, fra loro, qualcosa di nuovo, piccolo e fragile: un seme di futuro. È lì che la mediazione smette di essere una tecnica e diventa arte del singolo. Ed è lì che agisce la serendipità: l’inaspettato che fa nascere qualcosa di nuovo dentro al caos affinché la mediazione più autentica possa operare trasformazioni inedite ed impensabili. Un po’ come i bambini di Banksy, che giocano a palla felici proprio con il cartello che proibiva loro di farlo.
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