Quale futuro per la democrazia

Che tipo di futuro vogliono gli italiani? Questa la domanda che ogni anno ci poniamo tutti e certo non solo in Italia per provare a disegnare opzioni alternative di «forme di futuro» tra onde di ottimismo e pessimismo che oscillano in continuo. Una indagine Ipsos vede i più ottimisti tra indonesiani, colombiani, filippini, cinesi peruviani, sudafricani e messicani tra 90% e 85%.
Più in ritardo gli europei e in particolare: irlandesi, svizzeri, olandesi, svedesi, spagnoli e britannici tra 72% e 61%. Poi in terza posizione in basso troviamo gli italiani con tedeschi, belgi e francesi tra 58% e 50% di ottimisti. Sull’economia il 76% degli italiani ritiene che il 2025 sarà di recessione o di stagnazione e solo il residuo 24% vede una ripresa con il 63% che prevede un aumento del costo della vita.
In generale il 61% di italiani con francesi e tedeschi sono pessimisti sul futuro. Le cause sono dovute a: guerre (60%) che sembrano non placarsi; climate change (55%) che mostra una politica (e politici) in frenata; concentrazione di ricchezza per pochi (36%) e tale da generare ineguaglianza e povertà indicando tra i «colpevoli» il neo-liberismo globalista che non ha mantenuto le promesse originarie.
Più distanziati altri fattori come: inflazione (32%); corruzione (27%); precarizzazione del lavoro (25%). Un insieme di leve che producono ansietà, sfiducia e incertezza fino ai bordi del caos. Dunque un quadro tra luci e molte ombre a tratti sconfortante che spinge verso risposte che sembrano dimostrare tuttavia una volontà di sperimentare un «futuro possibile» innanzitutto con la (I) pace per il 41% degli italiani, seguite a stretto giro da (II) sicurezza (39%) e (III) giustizia sociale (38%).
Tre macro-fattori di spinta di desideri, aspettative e dell’agire che dipingono un quadro sostanzialmente razionale di risposte bilanciando assenza di conflitto con sviluppo di giustizia e riduzione delle diseguaglianze. A seguire - infatti - altre leve come l’eguaglianza (33%), l’ecologismo (30%), serenità e benessere (tra 27% e 26%). Più distanti seppure di rilievo fattori come l’economia circolare (18%) e meno consumismo (17%) magari rilanciando stili consumeristi (consumo responsabile ed eticamente selettivo, di qualità e non quantità) e di dono.
Nel complesso la gerarchia di questi fattori e il loro «affollamento» in cluster mostrano il realismo delle persone e la loro razionalità prospettica (superiore a quella dei politici?) considerando il nuovo scenario emergente con le interdipendenze sistemiche tra questi per interconnessioni circolari di cause-effetti. In particolare, tra guerre, diseguaglianza e climate change oppure nei rapporti tra pace, sicurezza e giustizia sociale per evidenziare il bisogno profondo di associare stabilità ed equità ad una crescita condivisa. In un continuum tra paura e speranza che genera vuoti di rischio tra innovazione e opportunità rispetto ai potenziali emergenti.
Mentre il richiamo responsabile a ecologia, benessere ed economia circolare sollecitano l’impegno di tutti verso «politiche della vita e per la vita» con beni comuni come continuamente richiamato anche da Francesco nell’Enciclica «Fratelli tutti» (2020) come nella quarta Dilexit nos sull’amore umano che sembra rimosso. Con l’obiettivo comune tra le genti (ma non sempre con la politica) di costruire una «Humanitas Nova», inclusiva, accogliente e responsabile per un pianeta da condividere per evitare una nuova estinzione dei viventi.
Inoltre, per sviluppare «Nuova Conoscenza Condivisa» per una consapevolezza matura dei nostri limiti e delle tante opportunità superando i grandi flagelli del presente tra molte povertà e immense solitudini nonostante un’iper-connettività spesso «vuota»: individualismo, egoismo, edonismo, anarchismo. Caratteri di una hybris espansa e senza limiti con un principio di individuazione che sembra prevalere su quello di coesione.
Una conoscenza che è resa accessibile e disponibile attraverso Internet ma che poi viene «sequestrata» dai social network anche per canalizzare il consenso e la nostra creatività (e neo-potenziamenti oscuri) come vorrebbe la tech-right affermando l’illusione di una presunta neutralità tecnologica e del free speech.
Per esempio, educando ad un uso consapevole dello smartphone - che compie 18 anni - e ora anche dell’IA come nuova risorsa per provare a resettare il nostro futuro e quello dei nostri figli e nipoti. In particolare, limitandone l’uso tra gli adolescenti sotto i 16 anni (alcuni paesi hanno già deliberato divieti all’uso come Finlandia e Australia) regolandone gli usi a scuola (fino al divieto e qualcosa si muove anche in Italia).
Visto che l’85% dei ragazzi tra 11-19 anni detengono un profilo su un qualche social network e che sale al 97% nella fascia 17-19 passando mediamente da 2 a 4 ore (con alti rischi di sviluppare dipendenze e comportamenti violenti come bullismo o revenge porn) tanto che ben il 40% di questi ragazzi parla di «esperienze negative».
Ragazzi allora da accompagnare e proteggere da questa iper-connettività viziosa continua, permanente, spesso senza creatività e innovazione con adeguata formazione e divieti intelligenti anche in associazione con i genitori o loro comunità per provare a ricostruire anche quel che abbiamo perduto in particolare con la crisi Covid e con le sottovalutazioni dell’impatto da parte degli stessi social network gonfiati e deviati da oligopoli bulimici.
Provando a recuperare la ricchezza di legami solidi, duraturi e profondi rompendo le bolle social delle quali questi ragazzi sono ostaggi nelle manipolazioni dei pirati del web e delle piattaforme.
Ritornando ad un rapporto sano tra individuo e democrazia in una convivenza libera, articolata e plurale anche attraverso corpi intermedi dinamici e vitali (dalle comunità religiose ai partiti, dalla scuola alle associazioni sportive al volontariato). Riaffermando insomma la forza di uno Stato di Diritto capace di proteggere l’individuo dalle intrusioni di super-multinazionali sempre più potenti e svincolate dai controlli statuali. E che ora direttamente «inquinano i pozzi» di una politica sempre più fragile per «(con)fusione di politica e business» con la tech-right degli Elon Musk di turno e in assenza di quei contropoteri civili e pubblici della «vita buona e condivisa» che fu dei partiti di massa e dei sindacati che ci aveva «regalato» il «secolo breve del ’900» e le sue fratture.
Now why would Keir Starmtrooper order his own party to block such an inquiry?
— Elon Musk (@elonmusk) January 8, 2025
Because he is hiding terrible things. That is why. https://t.co/9oAJxxn75m
Non dimenticando mai i nemici moderni della democrazia e che ne hanno lastricato anche il cammino recente dalle Torri Gemelle a Charlie Hebdo a Capitol Hill e intrecciati poi con le permacrisi da Lehman Brothers al Covid all’invasione russa, al pogrom del 7 ottobre e alla crisi umanitaria tra Gaza Libano e Siria con la saldatura devastante tra sovranismi, nazionalismi e neocapitalismo finanziario e piattaforme social per contendersi il consenso in un mix velenoso e anti-sistema tra autoritarismo conservatore e (finto) progressismo neo-tech.
Permacrisi che hanno indebolito le democrazie social-liberali ma non abbattute e tra queste l’Europa (da rinforzare e ricostruire con un debito per difesa comune e innovazione) oltre agli Usa stessi seppure con lacerazioni da ricucire, riparare trasformando la debolezza in forza richiamando la voce dei Vangeli dell’Apostolo Paolo ai Corinzi «quando sono debole allora sono forte».
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