La protesta che scuote la Serbia contro corruzione e dispotismi

Davide Martello, il «pianista della pace», non potrà rientrare nel Paese dopo aver suonato il 5 aprile a Niš, a sostegno delle manifestazioni promosse dai giovani
Aleksandar Vucic, presidente della Serbia
Aleksandar Vucic, presidente della Serbia
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«Persona non gradita», ha dichiarato la polizia. Così, per un anno, Davide Martello, il «pianista della pace», tedesco di origini siciliane, non potrà rientrare in Serbia. Con un post su Instagram ha informato che, dopo aver suonato il 5 aprile a Niš, a sostegno delle proteste dei giovani, non potrà farlo a Belgrado perché è stato espulso dal Paese.

Martello è un habitué di queste performance: ha suonato in Turchia durante le proteste al Gezi Park nel 2013, nel 2014 nel Donbass e a Kiyv, e nel 2015 a Parigi, dopo l’attentato al Bataclan. Porta la sua musica dove – dice – «c’è bisogno di conforto». I commenti sotto al post non lasciano dubbi. Il popolo serbo è indignato per questa espulsione, ma è fiducioso che presto ci sarà una «nuova Serbia, una Serbia libera dalla corruzione e dalla dittatura».

Anche se prima il premier Milos Vucevic, poi l’intero governo, in carica dal 2 maggio 2024, hanno dato le dimissioni, le manifestazioni degli studenti, partite lo scorso novembre a seguito della morte di sedici persone schiacciate dal crollo di una pensilina della stazione ferroviaria della città di Novi Sad, non si sono fermate. Anzi, hanno assunto nuovo vigore e si sono diffuse anche nella capitale Belgrado, in quella piazza Slavija dove, il 5 ottobre 2000, la «rivoluzione dei bulldozer» segnò la fine del regime di Slobodan Miloševic.

Dall’accusa iniziale alla classe dirigente di mancato rispetto delle norme di sicurezza nella costruzione della struttura, si è passati alla denuncia contro la corruzione dilagante, e alla richiesta di elezioni parlamentari anticipate. Perché, dicono gli studenti, a cui si sono via via aggiunti lavoratori, pensionati, commercianti, famiglie, docenti, attori, musicisti, veterani di guerra «la nostra voce non è solo rumore, bensì una forza che può avviare cambiamenti e risvegliare la speranza di giustizia e libertà». Così, il 15 marzo, fischietti, tamburi e cornamuse hanno accompagnato la più grande protesta antigovernativa mai tenutasi nel Paese balcanico.

Ma il presidente Aleksandar Vucic, che si comporta come un padrone assoluto, ha conferito a Djuro Macut, 61 anni, noto endocrinologo e docente alla facoltà di medicina dell’Università di Belgrado, l’incarico di formare un nuovo governo, che ha ottenuto la fiducia del Parlamento. I dicasteri principali sono rimasti invariati, quindi un segno di continuità, fuori ovviamente Vucevic, e il vicepremier Aleksander Vulin, uomo legato a Putin. Ma questo «cambiamento di facciata» non ha fermato i manifestanti. Ribadendo che il loro è un movimento politico indipendente, nato dal basso, e che non vogliono essere associati ai partiti di opposizione, o strumentalizzati dall’esterno, lamentando una «situazione di oscurità mediatica», hanno creato un sito web (blokada.info), unico modo – si legge – per avere voce. Inoltre, hanno cominciato a radunarsi davanti alla sede della filo-governativa Informer TV, accusandola di ignorarli a favore della propaganda di Stato.

Altro elemento in gioco sono i rapporti stretti del presidente con Cina e Russia. Con quest’ultima c’è sicuramente una vicinanza culturale, storica e religiosa, data dalla comune matrice ortodossa. Ma il fatto che Vucic si sia recato a Mosca, alla parata militare in onore dell’80esimo anniversario della vittoria sulla Germania nazista, non è passato inosservato. Tanto che il presidente del Consiglio europeo, António Costa, è volato a Belgrado per verificare il significato di questa visita in Russia e per essere assicurato sulla volontà della Serbia di far parte della Ue. Intanto anche Subotica, cittadina del nord di oltre 90mila abitanti, è stata invasa dai manifestanti, protetti da agricoltori simpatizzanti che hanno bloccato con i trattori gli accessi alle strade e da veterani di guerra. La parte più rilevante della manifestazione sono stati gli ormai consueti 16 minuti di silenzio in memoria dei 16 morti a Novi Sad.

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