Pokrovsk cede ai russi, ma è stallo «all’ucraina» fra le città fortezza

Pokrovsk è in mano russa. La bandiera ucraina sventola sul municipio di Pokrovsk. Notizie come sempre contraddittorie si inseguono da giorni attorno ad una delle ultime roccaforti di Kiev nel Donbass, ove si combatte accanitamente da quasi un anno e mezzo. Le reciproche macchine di propaganda aiutano poco: in soccorso vengono le geolocalizzazioni satellitari che consentono di individuare sul terreno la posizione delle varie unità.
Quel che è certo che con ieri, 7 novembre, la battaglia per Pokrovsk non è finita: soldati russi sono penetrati in larghe zone della città, che non è stata del tutto rasa al suolo come accaduto ad esempio a Mariupol e Bakhmut, probabilmente perché ai russi serve mantenere qualcosa più di un mucchio di macerie in questo importante snodo logistico. Ma in altre zone si combatte ancora. Di certo la sacca intorno a Pokrovsk è quasi chiusa: resta un corridoio di due-tre km, coi russi a Nord e a Sud dello stesso, che possono colpire chiunque ci si avventuri.
🇺🇦-made Bohdana howitzers in service with #UAarmy are bringing victory closer.
— Defense of Ukraine (@DefenceU) November 7, 2025
📷: 44th Artillery Brigade pic.twitter.com/z3gtm6Jbb2
Una situazione delicatissima per gli ucraini, in perenne affanno di numeri, i quali, però, non hanno strategicamente alternative: devono resistere il più possibile lungo la linea delle città-fortezza Kupiansk, Lyman, Siversk, Kostjantynivka e Pokrovsk (in tutte si combatte in questi giorni, pur con intensità diverse perché lo sforzo russo pare concentrato a Pokrovsk e nella zona tra Dnipro e Zaporizhzhia). Ritirarsi dai caposaldi significherebbe infatti doversi trincerare, con scarsa efficacia, in terreno aperto in grandi spazi pressoché disabitati.
Ma anche se l’attenzione, alimentata dalla citata propaganda, è concentrata su Pokrovsk, la situazione più pericolosa è proprio quella che si sta configurando (e nelle ultime settimane neppur tanto lentamente) tra Dnipro e Zaporizhzhia: si registra infatti un consolidamento della testa di ponte russa presso Ivanyvka, dietro la quale non ci sono apprestamenti difensivi verso Pokrovske (quasi omonima di Pokrovsk e importante nodo logistico) da cui si potrebbe poi prendere alle spalle Kuliakove e da lì procedere verso Zaporizhzhia passando a Nord, aggirandone l’intero sistema difensivo, che è rivolto a Sud. Un cedimento delle linee potrebbe portare i russi (che nella zona mantengono in riserva numerose unità meccanizzate e corazzate) a conquistare porzioni di territorio assai più ampie.
Nonostante l’estrema precarietà del fronte, gli ucraini riescono nel frattempo a creare grattacapi (pur non risolutivi sull’andamento della guerra) a Mosca, colpendone le infrastrutture energetiche. Ai primi di novembre, ad esempio, ben 700 droni ucraini (accumulati per l’occasione) sono stati lanciati in una sola notte sulla Russia: blackout out si sono registrati a Mosca ed in altre città, mentre sono esplose tre linee di un oleodotto a Sud-Est della capitale.
💬 #Zakharova: On November 4, the leader of the Kiev junta posed in front of the emblem of the 2nd SS Panzer Division “Das Reich
— MFA Russia 🇷🇺 (@mfa_russia) November 7, 2025
Deputy commander of an AFU battalion, Radko, displays tattoos with fascist symbols
❗️ The Kiev regime is already proud of this & it is all documented pic.twitter.com/lKkd9HDLHm
La comparsa, anche davanti al Cremlino, di pattuglie di riservisti (da poco richiamati a migliaia), con pick up e mitragliatrici in funzione anti-drone non è certo passata inosservata. Al tempo stesso attentati sono stati compiuti contro raffinerie di Paesi dell’Est europeo che lavorano petrolio di provenienza russa. Anche la diga di Belgorod è stata fatta saltare, inondando una vasta area di territorio e frenando i movimenti delle fanterie di Mosca.
I russi mantengono indubbiamente una devastante superiorità nel volume di fuoco, sia aereo sia terrestre, ma la narrazione della vittoria nella «Operazione speciale» risulta ovviamente un po’ più difficile, anche perché si avvicina il quarto anno di guerra. Una guerra che assume sempre più i connotati di una infinita tragedia, i cui obiettivi sfuggono all’umana comprensione se non letti nella spietata logica geostrategica, che coinvolge le grandi potenze mondiali: Kiev non può cedere dopo aver chiesto tali e tanti sacrifici ai suoi cittadini e Putin certo non si fermerà ora che le sue truppe sono costantemente all’offensiva e accumulano territori che peseranno sul tavolo di qualunque trattativa (ammesso che ce ne sia davvero una in vista). Ma il Donbass (obiettivo dichiarato di Mosca) è tutt’altro che conquistato interamente: restano Sloviansk e Kramatorsk, città fortificate ben più grandi di Pokrovsk. Usque tandem?
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