Opinioni

Omofobia, più pregiudizio che vera e propria fobia

In famiglia la disponibilità al dialogo è fondamentale; silenzio e intolleranza, invece, aumentano il rischio depressivo e possibili azioni suicidarie
La bandiera arcobaleno simbolo del movimento lgbt
La bandiera arcobaleno simbolo del movimento lgbt
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La giornata mondiale contro l’omofobia del 17 maggio di ogni anno, ci dovrebbe servire a ricordare che la paura dell’omosessualità è ancora ampiamente diffusa. Resistono purtroppo errate convinzioni ormai superate scientificamente e pregiudizi nonostante dal 17 maggio del 1990 l’Oms abbia detto che l’omosessualità è «una variante naturale del comportamento umano». Così in un tempo di diffusa ipocrisia sentiamo frasi del tipo «Non ho nulla contro i gay, anzi ho molti amici che lo sono» e confondiamo tolleranza con indifferenza. E questo perché mancano conoscenze scientifiche e consapevolezza personale sulla sessualità.

Oggi il bullismo online si diffonde e diventa aggressione verbale, derisione, calunnia e discriminazione colpendo in modo particolare le persone omosessuali o quelle ritenute tali per quei comportamenti che non rientrano nelle categorie di maschi o di femmine eterosessuali. Una delle forme di violenza più pericolosa e devastante si chiama bullismo omofobico e si sviluppa in gran parte nei social, dove facilmente si possono diffondere informazioni calunniose e giudizi che colpiscono, a volte mortalmente, le vittime designate.

Fondamentale è sapere, però, che il «cyberbulling omofobico» caratterizzato da azioni violente e gravi offese nei confronti degli adolescenti, non ha niente a che fare con la paure o le fobie, quanto è piuttosto col pregiudizio, ancora duro a morire. Attorno al tema dell’omosessualità persiste un magma indifferenziato di sentimenti che non si sono potuti evolvere e di solito, in chi si accanisce contro l’omosessualità, c’è stato un insufficiente accompagnamento alla conoscenza di se stessi e fortemente carente è stata l’educazione al rispetto degli altri per quello che sono, pensano e fanno.

Nel libro «Bullismo omofobico» (Il Saggiatore) curato in Italia dallo psichiatra e psicoanalista Vittorio Lingiardi, dove si riportano ricerche trentennali rispetto a questo fenomeno, si ritrova che a scuola ancora molti insegnanti non intervengono per arrestare le offese del bullo su un compagno omosessuale, ma la vittima per difendersi (!), viene sollecitata a comportarsi da «maschio» e incoraggiata a fare lui stesso il bullo.

Vanno allora chiamati in causa gli adulti e la loro capacità o meno di proteggere i minori. Per prima cosa urge ricordare a genitori e insegnanti che l’omosessualità non è una malattia, ma una condizione naturale, un orientamento tra i diversi possibili della sessualità. Serve sapere che in famiglia, la disponibilità al dialogo sui temi della sessualità, è fondamentale per coltivare confidenza e sicurezza. Molte ricerche dicono che silenzi e intolleranza sull’omosessualità a casa come a scuola, aumentano significativamente il rischio depressivo in adolescenza e possibili azioni suicidarie. Viceversa ambienti protettivi favoriscono relazioni e legami di sostegno. A scuola infine conta molto attivare con i consulenti psicologi progetti formativi relativi all’orientamento sessuale che non significa per nulla promuovere una inesistente «ideologia gender».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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