Oasis riuniti, il riverbero violentissimo di una quasi religione

Scrivere quanto segue è ragione di gioia e orgoglio, ma porta dritto verso una serie di infrazioni alle regole che provo a darmi. La prima: non usare mai la prima persona singolare quando faccio il mio lavoro. La seconda è il camminare troppo vicino al confine tra il tentativo di dar conto dei fatti nel modo più oggettivo possibile e il rischio di metterci dentro le mie emozioni. Tant’è.
Gli Oasis si riuniscono. Molte band lo fanno. Tanti artisti, in generale, fanno parlare di sé. La notizia della reunion dei Gallagher, però, è sfuggita di mano.
Non solo Oltremanica. Là (Gran Bretagna e Irlanda, va ricordato che tutti e cinque i componenti della line-up originale sono di origine irlandese) gli Oasis sono un’istituzione. Di più, una religione. I fatti delle ultime ore hanno però avuto un riverbero violentissimo pure nel resto del mondo. A partire dall’Europa, Italia inclusa.
I detrattori del gruppo capitanato dai fratelli Noel e Liam Gallagher diranno che non ha senso. Che gli Oasis, d’accordo, hanno pubblicato due grandi dischi - «Definitely Maybe» del 1994 e «(What’s The Story) Morning Glory?» del 1995 - e un terzo lp («Be Here Now» del 1997) che è iconico, ma pure pretenzioso e zeppo di difetti. Diranno che da lì in poi hanno vivacchiato, fino allo scioglimento, datato 2009.
L’altra campana da sentire è quella dei fan. E sono una quantità immane, irreale, impensabile. Non solo ultra-quarantenni nostalgici, ma pure bambini e ragazzini, nati dopo quella nottataccia di Parigi di 15 anni fa. Per loro gli Oasis non sono solo un’istituzione, e nemmeno solo una religione. Basta leggere sui social, o anche semplicemente parlare con persone che conosci. Gli Oasis sono stati “formazione”, esperienza emotiva direttissima quasi tattile, olfattiva, sensoriale, anche se si trattava di un gruppo che usciva dallo stereo, dallo schermo della tv sintonizzata su Mtv, e - in tempi più recenti, post-scioglimento- dall’applicazione di YouTube sullo smartphone.
The guns have fallen silent.
— Liam Gallagher (@liamgallagher) August 27, 2024
The stars have aligned.
The great wait is over.
Come see.
It will not be televised. pic.twitter.com/u1Mge33poT
Noel e Liam hanno realmente trasmesso qualcosa di immateriale. Cosa? Superficialmente, si potrebbe dire che il messaggio all’ascoltatore è: «Ce la fai, anche se non sei nessuno e sei uno spiantato, e nel farcela ti divertirai a ricordare a tutti che la vita è bella, anche se a volte malinconica, e tu sei il re del mondo». Ma quanto questo gruppo significa non si ferma lì, e finisce dritto nella regione dell’inspiegabile, insondabile, non verbalizzabile. Racconto (maledetta prima persona singolare) che è come se fossero stati dei genitori aggiuntivi, necessari alla mia sensibilità nonostante tutti i loro poco edificanti eccessi. E trovo persone che annuiscono, anche un po’ stupite: «Stessa cosa per me».
Se ne riparla tra un annetto Oltremanica. Auspicabilmente, ci si vede tutti là. A Noel e Liam il compito di non rovinare niente di ciò che ha tutti i connotati di un attesissimo rito collettivo. Inspiegabilmente universale. E, al contempo, molto democratico. Perché, come sempre, Noel Gallagher ha ragione. E stavolta non ha bisogno di traduzione: «Sony didn’t decide that Oasis would still be going after 30 years. Creation didn’t. I didn’t decide, Liam didn’t. The f*cking people decided».
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