Nuova colonia israeliana, così il futuro è sempre più ingovernabile

Tra i suoi molti incarichi, William Robert Wellesley, Primo Conte di Peel, presiedette, dal 1936, la Commissione reale per la Palestina che prenderà poi il suo nome. Un organo incaricato di indagare le cause dell’insurrezione popolare araba contro l’immigrazione ebraica e l’acquisto di terre da parte dei coloni sionisti e di proporre una soluzione che garantisse la stabilità politica del Mandato britannico per governare la regione. Constatata l’impossibilità di una convivenza pacifica tra arabi ed ebrei, Peel propose quello che ancora oggi è considerato un mantra per risolvere una delle più gravi crisi del Medio Oriente: «Due popoli, due Stati».
Fatta propria e formalizzata nel 1947 dall’Onu, la proposta divenne centrale dopo il 1967, quando la vittoria israeliana nella Guerra dei Sei Giorni e l’occupazione della Cisgiordania e di Gaza trasformarono la questione palestinese da problema di rifugiati a questione nazionale e territoriale e trovò infine concretezza politica negli accordi di Oslo del 1993. Sebbene rimanga la cornice di legittimità più condivisa a livello internazionale, se non l’ultimo appiglio per destrutturare l’idea di una reciproca negazione dei diritti dell’altro o di non esistenza, l’intuizione di Peel oggi è più un principio diplomatico che una prospettiva concreta.
Our goal is not to occupy Gaza. Our goal is to free Gaza from Hamas terrorists.
— Benjamin Netanyahu - בנימין נתניהו (@netanyahu) August 10, 2025
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La sua potenziale attuazione iniziò a sgretolarsi all’indomani della decisione di Hamas di trasformare Gaza, in un regime autoritario islamista militarizzato, vanificando tutta la legittimità che la vittoria alle elezioni legislative palestinesi del 2006 avrebbe potuto assegnare al gruppo, trasformandolo da organizzazione terroristica in attore istituzionale con la capacità di negoziare una soluzione per uno Stato palestinese. Dopo le recenti decisioni prese dal Governo di Netanyahu, che sembrano concretizzare pienamente il programma politico del Ministro della Sicurezza Nazionale, Itamar Ben-Gvir, - «voglio tutta Gaza, il trasferimento di tutta popolazione e la colonizzazione» -, l’ultimo lacerto di speranza sembra ormai definitivamente svanito, sia verso la Striscia, che sarà oggetto di un’ulteriore campagna militare che prevede l’occupazione di Gaza City, sia per la Cisgiordania.
Infatti, con l’approvazione della costruzione di una nuova colonia che, nei termini freddi burocratico-amministrativi è chiamata semplicemente E1 (East 1 - Zona Est 1) in un’area compresa tra Gerusalemme Est, capitale designata palestinese e l’insediamento israeliano di Ma‘ale Adumim, Tel Aviv riuscirebbe a separare in maniera irreversibile il nord dal sud della Cisgiordania, trasformando la futura entità palestinese in una costellazione di enclaves prive di continuità territoriale e di viabilità autonoma, quindi formalmente ingovernabile, sancendo di fatto la fine dell’idea dei «due Stati».
Diverse le implicazioni di carattere interno ed internazionale. Il via libera al progetto segnala la ridotta capacità delle cancellerie occidentali di influire sulle scelte di Israele, mentre sul terreno l’espansione degli insediamenti indebolirà ulteriormente l’Autorità Nazionale Palestinese, sino ad ora interlocutore privilegiato di Israele e alimenterà nuove dinamiche di frammentazione politica e sociale all’interno della società palestinese. Sul piano giuridico e umanitario va prefigurandosi un’ulteriore violazione della IV Convenzione di Ginevra, che vieta alla potenza occupante lo spostamento forzato delle comunità locali, e costringerà le comunità beduine a vivere sotto la minaccia di demolizioni e trasferimenti coatti, con effetti su istruzione, salute e mezzi di sostentamento della collettività araba.
In una dimensione socio-economica la parcellizzazione dello spazio moltiplicherà i costi e i tempi di spostamento, compromettendo i mercati locali, i servizi di base e la pianificazione urbana, con un inevitabile aumento della povertà, di proteste e quindi della repressione. L’avvio dei cantieri di E1 segnerebbe un punto di non ritorno: l’irreversibilità delle opere configurerebbe un’annessione di fatto difficilmente revocabile. Sull’altro fronte palestinese, la conquista di Gaza City avrà impatti altrettanto destabilizzanti: privando Hamas del suo centro politico-amministrativo, lo scenario plausibile sarà quello di una amministrazione militare diretta, che oggi Israele non è in grado di garantire o, peggio, potrebbe portare alla creazione di un vuoto istituzionale che favorirebbe la radicalizzazione e uno stato di guerriglia permanente.

In prospettiva, si ritornerebbe paradossalmente all’idea da cui la Commissione Peel partì: un unico Stato che potesse accogliere sia ebrei che palestinesi. Oggi si sta infatti consolidando la realtà di Stato unico asimmetrico, nel quale Israele mira a mantenere il pieno controllo politico, militare ed economico sull’intero territorio, mentre la popolazione palestinese sarebbe relegata in entità separate prive di sovranità reale, ridotte ad un’autonomia amministrativa senza effettivi diritti di cittadinanza, né capacità di autodeterminazione statale, con ricadute destabilizzanti non solo per i palestinesi, ma per l’intero equilibrio regionale.
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